Titolo originale (danese): Den afrikanske farm - 1937
Titolo inglese: Out of Africa
Se non ricordo male, questo libro all'inizio venne pubblicato utilizzando lo pseudonimo di Isak Dinesen (vero cognome della scrittrice).
Premetto che non ho mai visto il film, e quindi nella sua lettura almeno non sono stata influenzata.
Si tratta di un romanzo autobiografico, scritto quando ormai la scrittrice era rientrata in Danimarca, in cui ripercorre alcuni degli avvenimenti che le sono capitati mentre era nella sua fattoria in Kenia, vicino Nairobi, alle pendici delle colline Ngong.
L'attività principale della fattoria è la coltivazione di caffè, in una terra che non è mai stata particolarmente adatta fin dal principio; una parte del terreno, non coltivato, ospita una comunità di indigeni, principalmente di etnia Kikuyu, che vivono presso la fattoria e lavorano nei campi. Nei dintorni ci sono altri indigeni, fra cui Masai e Somali.
La fattoria è completamente gestita dalla Blixen (intorno a metà romanzo mi sono resa conto che esiste anche un marito, il quale però si interessa più alla caccia che alla fattoria. Di egli parla veramente poco).
Il romanzo è piuttosto frammentario, nel senso che sono tanti ricordi senza una cronistoria vera e propria. Nelle ultime pagine poi i capitoli sono molto brevi, a differenza dell'inizio dove i capitoli sono decisamente più lunghi.
La scrittrice ripercorre episodi avvenuti durante la sua permanenza in Africa (fino al 1931). Molti sono episodi che riguardano la vita (e la mentalità) degli indigeni, che la Blixen impara gradualmente a conoscere e comprendere. Altri riguardano incontri con altri europei che passano per la fattoria, fra i quali Denys Finch Hatton, un cacciatore, con cui la Blixen vive una relazione romantica (che in realtà nel libro non viene mai descritta in termini espliciti, a differenza di quanto ho letto che succede nel film).
Il tema dominante del romanzo è il sentimento profondo che lega la Blixen all'Africa, alla popolazione locale e alla natura. In particolare, sono ricorrenti le figure di Kamante, un ragazzo indigeno che la Blixen cura e che diventa il cuoco della fattoria e la figura di Farah il suo servo/amico somalo. Molte sono le riflessioni fatte, per esempio, sul destino, che da sempre spaventa gli europei, mentre viene accettato con tranquillità dagli indigeni che ad esso si affidano
Ammetto di aver fatto molta fatica a leggere questo libro. Ammetto che mi sono annoiata spesso e che non vedevo l'ora di arrivare alla fine. Ci sono delle bellissime descrizioni dei paesaggi africani, ma a volte diventano fin troppo prolisse. Ci sono alcune scene di caccia ai leoni che mi hanno fatto ribrezzo, così come un paio di situazioni relative alle giraffe. Ci sono delle bellissime riflessioni sugli indigeni e su alcuni animali, per esempio quando si sofferma a pensare a come gli uomini hanno schiavizzato i buoi dando loro una vita di solo duro lavoro. Ci sono troppe persone che passano per la fattoria e poi spariscono, soggiornano o bevono solo il tè; ad un certo punto ho smesso di chiedermi se erano nuovi arrivati o vecchie conoscenze.
Quello che traspare è sicuramente l'amore della scrittrice per l'Africa, per i suoi "servi" che lei tratta sempre con molta magnanimità (ben diversamente da altri colonizzatori europei e non). Anche prima di andarsene definitivamente dall'Africa, il suo ultimo pensiero è cercare di sistemare i suoi animali e gli ex dipendenti per non abbandonarli da soli.
Però nel complesso non mi ha coinvolto troppo. Non so se mi aspettavo qualcosa di diverso o se, come altri libri, è stato letto in un momento sbagliato.
Mio voto: 6 e mezzo / 10
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