Titolo originale: Resto qui (2018)
Quando arriva la guerra o l'inondazione, la gente scappa. La gente, non Trina. Caparbia come il paese di confine in cui è cresciuta, sa opporsi ai fascisti che le impediscono di fare la maestra. Non ha paura di fuggire sulle montagne col marito disertore. E quando le acque della diga stanno per sommergere i campi e le case, si difende con ciò che nessuno le potrà mai togliere: le parole.
L'acqua ha sommerso ogni cosa: solo la punta del campanile emerge dal lago. Sul fondale giace il mistero di Curon. Siamo in Sudtirolo, terra di confini e di lacerazioni: un posto in cui nemmeno la lingua che hai imparato da bambino è qualcosa che ti appartiene fino in fondo. Quando Mussolini mette al bando il tedesco e perfino i nomi sulle lapidi vengono cambiati, allora non resta che scegliere le parole una a una per provare a raccontare. Trina è una giovane madre che alla ferita della collettività somma la propria: invoca di continuo il nome della figlia, scomparsa senza lasciare traccia durante gli anni del fascismo. Da allora non ha mai smesso di aspettarla, di scriverle nella speranza che le parole gliela possano restituire. Finché la guerra viene a bussare alla porta di casa, e Trina segue il marito disertore sulle montagne, dove entrambi imparano a convivere con la morte. Poi il lungo dopoguerra, che non porta nessuna pace. E così, mentre il lettore segue la storia di questa famiglia e vorrebbe tendere la mano a Trina, all'improvviso si ritrova precipitato a osservare, un giorno dopo l'altro, la costruzione della diga che sommergerà le case e le strade, i dolori e le illusioni, la ribellione e la solitudine.(goodreads)
«Se la storia di quella terra e della diga non mi fossero parse capaci di ospitare una storia più intima e personale, attraverso cui filtrare la storia con la s maiuscola, se non mi fossero immediatamente sembrate di valore generale per parlare di incuria, di confini, di violenza del potere, dell’importanza e dell’impotenza della parola, non avrei, nonostante il fascino che questa realtà esercita su di me, trovato interesse sufficiente per studiare quelle vicende e scrivere un romanzo»
Marco Balzano è rimasto affascinato dal campanile che sbuca nell'acqua e ci ha creato intorno un romanzo, raccontando la storia di un paese Sudtirolese, italiano per i fascisti e poi di nuovo tedesco per i nazisti. Un paese che ha dovuto resistere alla violenza della guerra, vissuta da occupati di entrambe le parti, e alla violenza della politica che ha letteralmente raso al suolo il paese e gli abitanti che lo vivevano, accampando scuse di un progresso che non si poteva fermare.
E' un romanzo con un linguaggio molto bello, nel senso che si legge bene. L'autore è molto bravo nel rendere le emozioni provate dai suoi personaggi. Quello che racconta però è un pugno enorme allo stomaco. O più enormi pugni allo stomaco, perchè con Trina ed Erich la storia non è stata affatto pietosa.
Il libro è diviso in tre parti. Nella prima parte, Trina è una ragazza che ha due amiche a cui è molto legata, si sposa con Erich un ragazzo orfano dei genitori che parla spesso col padre di Trina. Le vicende si inseriscono negli anni del ventennio fascista. Alla gente di Curon è proibito parlare tedesco perchè il fascismo li vuole italiani. E la repressione fascista per chi continua a parlare tedesco è feroce. Trina e le sue amiche fanno le maestre di nascosto, ma una delle sue amiche verrà beccata e incarcerata e appena possibile se ne andrà dal paese senza voler più parlare con Trina. Trina ed Erich hanno due figli, un maschio con cui Erich non avrà mai un gran feeling, e una femmina che adora. Ad un certo punto al paese arriveranno anche la sorella di Erich e il marito, i quali aiuteranno anche nella gestione dei bambini. Finchè una notte la bambina rimane a dormire dagli zii e alla mattina non c'è più traccia di nessuno dei tre. Questo il primo colpo al cuore. La bambina verrà cercata dappertutto, finchè arriverà una lettere in cui lei stessa dice che è voluta andare via con gli zii perchè lì a Curon non può nemmeno andare a scuola. Rabbia (la mia). Erich intima a Trina di non parlare mai più della bambina, ma per Trina è un dolore che rimane costante in sottofondo a tutta la sua vita e il libro è come una lunga lettera con cui Trina parla alla bambina.
Nella seconda parte, Trina dice che non le racconterà del dolore che hanno provato per la sua mancanza, ma solo di quello che hanno passato. Siamo negli anni in cui i nazisti scendono l'Italia, razziando e rastrellando. Il figlio di Trina, Michael, decide di arruolarsi volontario perchè vede in Hitler una specie di liberatore. Erich, che ha fatto la guerra per i fascisti e ha visto come combattono i nazisti, non ne vuole sapere neanche lontanamente di tornare in guerra e scappa sulle montagne con Trina. Qui troveranno altri fuggiaschi, coi quali creeranno una sorta di gruppo che si aiuta a vicenda nel sopravvivere ai fascisti. Ma i fascisti sanno bene che quei territori sono pieni di disertori e sanno che tornare due volte nello stesso rifugio può portare a scovare anche quelli che erano riusciti a scappare al primo giro. Una mattina Erich, Trina, Maria (una ragazzina muta che Trina ha preso sotto la sua ala) e il prete escono a fare un giro e si attardano più del solito. Sarà la loro fortuna perchè i nazisti hanno sterminato il resto del loro gruppo che è rimasto al rifugio. Nel frattempo la guerra sta finendo e Trina ed Erich decidono di tornare a Curon, dove incredibilmente ritrovano il loro maso e anche le bestie che avevano affidato a dei vicini che non erano scappati.
Della seconda parte mi è piaciuto il senso di comunità che si crea nel gruppo di fuggiaschi.
Nella terza parte, riprende la vita a Curon. E riprende la costruzione della diga che si era rallentata per colpa della guerra. Riprende a spron battente, comincia il via vai dei camion, cominciano ad arrivare frotte di manovali venuti apposta a lavorare. Erich è sconvolto dal progetto, si rende conto di dover fare qualcosa ma (come già in passato) si scontra contro il fatalismo degli abitanti, i quali credono che Dio non lascerà ultimare la diga, come successo fino a quel momento. Ma stavolta sembra che neanche Dio riesca a fermare il progetto. I giornali italiani non parlano della vicenda. Nel progetto sembra che siano entrati dei capitali svizzeri e solo da qui la gente si rende conto che gli svizzeri sono persone serie e cominciano a pensare che la diga verrà ultimata. Persino un incidente nel cantiere in cui muoiono venti persone non ferma i lavori. Viene interpellata la politica, il vescovo, addirittura il Papa e i sindaci dei comuni intorno. Solo il Papa dice che farà qualcosa. Anche il ministro Segni, quando prova a dire che farà di tutto per fermare il progetto viene interrotto dal suo segretario il quale dice che vedranno se potranno apportare delle varianti. Inutile dire che la politica andrà dritta per la sua strada, facendo solo scegliere se gli abitanti sfollati vogliono un risarcimento (minore del costo per andarlo a ritirare alla banca di Bolzano) oppure se vogliono una nuova abitazione (vivendo per anni in 35 metri quadrati di container).
Anche nella terza parte il mio sentimento dominante è la rabbia, contro la politica a cui non importa nulla delle persone. Trina comincia a scrivere lettere su lettere che non servono a smuovere "chi conta". Saranno per lei però una specie di modo per non impazzire. Alla figlia scomparsa pensa meno. Erich una volta le ha detto che ormai la ragazza era grande, se avesse voluto sarebbe già tornata. Lei si fa forza con le parole che le ha sempre detto sua madre, bisogna andare avanti, guardare avanti, altrimenti Dio ci avrebbe fatto gli occhi di lato come ai pesci.
E' un libro intenso, pieno di resistenza civile, di tanti spunti di riflessione anche se la storia scorre bene non si sovraccarica, non si ha l'idea di aver messo troppa carne al fuoco.
Mio voto: 8 e mezzo / 10