Titolo originale: L'arminuta - 2017
Ci sono romanzi che toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L'Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto - una casa confortevole, le amiche piú care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.(www.einaudi.it)
«Ero l'Arminuta, la ritornata. Parlavo un'altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza».
- Ma la tua mamma qual è? - mi ha domandato scoraggiata.
- Ne ho due. Una è tua madre.
La vicenda narrata in questo libro si svolge in Abruzzo, ma lo sappiamo solo perchè viene detto dall'autrice. I luoghi non sono identificati, si parla della città, si parla del paese, si parla del mare, ma non hanno nomi. Anche alcuni dei personaggi, in primis la protagonista e la madre naturale, non hanno un nome. Questo rende la storia molto universale, in effetti.
La storia si snocciola in brevi capitoli. La scrittura è abbastanza asciutta, non si dilunga in descrizioni, ed è molto efficace. In un primo momento questo stile mi ha un po' lasciata perplessa, ma ciò che fa risaltare bene sono i sentimenti, a volte espressi senza parole ma con piccoli gesti. Ho sentito tutto lo smarrimento della ragazzina, praticamente "rubata" alla famiglia d'origine (perchè Adalgisa voleva proprio lei e si è impuntata) e poi restituita senza motivo come un vestito che non va più bene. Il motivo si scoprirà verso la fine del libro e mi ha veramente fatto crollare la stima sul personaggio di Adalgisa, nonostante lei abbia continuato a mantenerla a distanza. La famiglia originaria dell'arminuta è numerosa, caotica, e molto molto povera; ben diverso da come era abituata prima. Per fortuna che la maestra e la (vera) madre la fanno studiare. Nella nuova famiglia, l'arminuta si affeziona in particolare ad Adriana, sorella di poco più piccola che ogni notte fa la pipì a letto; ma è una bambina con una grinta e una tenacia incredibili. "Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza". La complicità salva entrambe.
Mi è piaciuto molto anche il personaggio del fratello Vincenzo, anche se la storia stava un po' andando verso complicazioni sentimentali/ormonali, lui è un ragazzo con uno spirito ribelle che già si sente uomo e prova ad aiutare la famiglia ma non viene mai ringraziato perchè danno per scontato che ciò che porta a casa sia sempre frutto di furti e non di lavoro.
Per il complicato rapporto madre-figlia mi ha un po' ricordato il libro della Murgia, "L'accabadora".
“Nel tempo ho perso anche quell’idea confusa di normalità e oggi ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. [...] La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure”.
La cosa che mi rimane di più, forse, è la sensazione di vuoto. Due madri, ma nessuna delle due che alla fine sia completamente tale. Adalgisa l'ha voluta tenacemente, ma fa anche presto a buttarla fuori di casa quando la vita le dà ciò che ha sempre desiderato. La madre naturale, che si ritrova una ragazzina troppo educata, troppo diversa dai suoi figli, troppo lontana ormai per accorciare le distanze (ma in un paio di occasioni si mostra molto tenera con lei).
Ho letto che questa pratica del dare un figlio ad una parente senza figli era piuttosto frequente fino agli anni settanta.
Nel complesso il libro mi è piaciuto.
Mio voto: 8 / 10