E' morta a 90 anni Nadine Gordimer, sudafricana, una delle più grandi scrittrici di sempre. Attivista per i diritti umani, in prima linea contro l'apartheid, aveva vinto il Nobel per la Letteratura nel 1991. Oggi (14 luglio 2014), l'addio, dopo una lunga malattia: solo qualche mese fa, la scrittrice aveva annunciato il male che l'aveva colpita.
"Ho un cancro al pancreas e mi procura molto dolore. Quando ho scritto il mio ultimo romanzo (Ora o mai più, Feltrinelli, 2012, ndr) non lo avevo, non era ancora incominciato, e quello che ho scritto non ha nulla a che vedere con la malattia. La mia energia era immutata, e anche la mia attività intellettuale. Guardavo alla vita come ho sempre fatto. Non so quanto riuscirò a parlare. Non mi sento molto bene".
Nell'ultima intervista concessa a un giornale italiano, la Gordimer aveva contestualmente annunciato il suo addio alla narrativa, almeno al romanzo, proprio per le sue cattive condizioni di salute: "Forse scriverò ancora un paio di racconti. Non ho più l'energia, scrivere mi fa star male e sono troppo critica, troppo esigente verso il mio lavoro, non credo che accetterei qualcosa che non mi soddisfa". La sua primissima opera fu del resto un racconto, all'età di 14 anni. Per Nadine, le short stories erano il genere ideale della nostra frenetica era.
E proprio i Racconti di una vita (edizione Feltrinelli, come tutti i suoi altri libri) sono stati l'ultima opera di Nadine Gordimer arrivata in Italia: storie inedite e toccanti, lunghe diversi decenni, dagli anni 50 agli Anni Zero, che hanno raccontato ai suoi lettori le crepe, ma anche le tenui speranze, del Sudafrica. L'esordio, oltre sessant'anni fa: era il 1953 quando la Gordimer, figlia di un orologiaio ebreo lituano e protagonista di un'infanzia sensibile e solitaria, pubblicò in patria I giorni della menzogna, romanzo di formazione (e molto autobiografico) di una giovane donna bianca in una paese lacerato dai colori della pelle. Come Nadine Gordimer, che amava definirsi "un'africana bianca".
Nadine Gordimer aveva vinto il Nobel nel 1991 per "esser stata di enorme beneficio all'umanità grazia alla sua scrittura magnifica". Era vero. Perché la Gordimer era una graziosa combattente. Certo minuta, delicata, elegante, anche salottiera. Ma costantemente in prima linea contro ogni razzismo, in nome degli ultimi di questa Terra. Così, nonostante il candore della sua pelle, ha scritto e inveito senza sosta contro il razzismo istituzionale del suo Paese, il Sudafrica pre-Mandela, ma anche post, come quello di Zuma devastato dalla corruzione. Così si è iscritta al partito di Madiba, l'African National Congress, quando era ancora fuorilegge. Così si è battuta per i malati di Aids, altra piaga di un Sudafrica ancora martoriato, e per tanti altri dimenticati dal mondo. Perché, come disse poco prima della vittoria al Nobel, "non posso deprecare solo l'apartheid quando l'ingiustizia umana è ovunque".
Il rapporto con Mandela. Madiba, appunto. Altro abbagliante faro della sua vita, insieme alla letteratura, illuminatosi dopo il loro primo incontro, nel 1964, durante il processo Rivonia, al termine del quale Mandela fu condannato all'ergastolo. Un'ammirazione che andava oltre le parole, persino per un Nobel come lei. "Noi sudafricani siamo fortunati ad averlo avuto con noi. Perché se dovessi provare a spiegare tutto quello che ho avuto da lui, io che sono fra le persone che hanno avuto l'onore di conoscerlo di persona, credo che non ci riuscirei. Madiba era un democratico naturale, una cosa piuttosto inusuale in Africa. In un continente che ha lottato per decenni per liberarsi dalla dominazione straniera e raggiungere la libertà, è raro trovare qualcuno che non basi la sua azione sull'odio o il risentimento".
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