domenica 29 novembre 2020

Le cose crollano - Chinua Achebe


Titolo originale: Things fall apart (1958) 

Okonkwo è un guerriero, un lottatore, un uomo ambizioso e rispettato che sogna di divenire leader indiscusso del suo clan. Dal suo villaggio Igbo, in Nigeria, la fama di Okonkwo si è diffusa come un incendio in tutto il continente. Ma Okonkwo ha anche un carattere fiero, ostinato: non vuole essere come suo padre, molle e sentimentale, lui è deciso a non mostrare mai alcuna debolezza, alcuna emozione, se non attraverso l’uso della forza. Quando la sua comunità è costretta a fronteggiare l’irruzione degli europei, l’ordine delle cose in cui Okonkwo è nato e cresciuto comincia a crollare, e la sua reazione sarà solo il principio di una parabola che lo porterà nella polvere: da guerriero temuto e venerato, a eroe sconfitto, oltraggiato. Le cose crollano, il primo libro della trilogia che ha consegnato Chinua Achebe alla fama internazionale è unanimemente considerato il suo capolavoro, capace di intrecciare nella stessa vicenda due storie diverse: quella personale di Okonkwo e quella più ampia dello scontro fra due religioni e civiltà. Nella scrittura di Achebe, interprete di una grande tradizione letteraria, i conflitti ancestrali fra individuo e comunità dialogano con i percorsi accidentati della storia, le cui conseguenze investono ancora il mondo in cui viviamo. (www.anobii.com)

Il romanzo è diviso in tre parti, e il protagonista principale è Okonkwo.
Nella prima parte siamo in un villaggio chiamato Umuofia (nome di fantasia), Nigeria. Okuonko, deciso a non assomigliare per nulla al padre, fannullone e pieno di debiti, si rimbocca le maniche e diventa un grande e rispettato guerriero. Per fortuna nella loro cultura, le colpe dei padri non ricadono sui figli e quindi il villaggio ha molta stima di lui. Okonkwo ha tre mogli e lavora alacremente per coltivare i suoi campi. Ambisce a diventare uno dei capi clan. Ma due eventi scuotono le sue fondamenta. Innanzitutto, l'uccisione di un prigioniero che era stato affidato alla sua famiglia e al quale, dopo tre anni, si era affezionato quasi come ad un figlio; un caro amico gli aveva suggerito di non prendere parte all'esecuzione ma lui non gli aveva dato retta per non sembrare un debole. Il secondo evento è al funerale dell'amico che gli aveva dato quel consiglio, quando, durante il rito, un colpo parte inavvertitamente dal fucile di Okonkwo uccidendo il figlio sedicenne del morto. Secondo la loro legge, essendo una morte accidentale, Okonkwo è costretto all'esilio con tutta la sua famiglia e trova rifugio al paese natio della madre, Mbanta, dove lo accoglie l'unico fratello vivente di lei e la sua famiglia.

Nella seconda parte, Okonkwo deve ripartire da zero. Egli è triste per la sfortuna che gli è capitata ma lo zio gli ricorda che è stato accolto nella terra di sua madre e che deve rendere omaggio ai morti e superare la tristezza. Okonkwo ricomincia a lavorare, come coltivatore, nel frattempo pensando a quando potrà tornare al suo villaggio.
Intanto nei villaggi vicini cominciano a vedersi degli uomini bianchi e la cosa comincia a creare preoccupazione. Nel villaggio di Mbanta arrivano i missionari ed il figlio di Okonkwo, Nwoye, incantato dalle parole di un inno, decide di diventare uno di loro.

Nella terza parte, sono finalmente passati i sette anni di esilio e Okonkwo, dopo un lauto banchetto per ringraziare i parenti della moglie, può tornare a Umuofia. Ma le cose sono molto diverse da come le ricorda. L'uomo bianco e la sua nuova religione ha preso abbastanza piede, dividendo il clan. I missionari inglesi hanno portato la scuola, hanno salvato persone che secondo la religione africana erano considerati reietti, hanno portato anche i tribunali per giudicare chi sbaglia. 
La tensione nel villaggio però è molto alta e durante la festa per la dea Terra, un convertito toglie dal volto di uno degli stregoni la maschera che porta, compiendo il peggior sacrilegio possibile. La rappresaglia, guidata da Okonkwo sfocia nella distruzione della chiesa costruita dai cristiani. Successivamente i capi dei clan vengono chiamati al tribunale ed imprigionati, lasciati senza cibo e frustati fino al pagamento dell'ammenda da parte del villaggio. Il cuore di Okonkwo è pieno di odio e risentimento e giura di vendicarsi.
Il giorno successivo al villaggio viene convocata un'assemblea durante la quale arrivano dei messaggeri che intimano di interromperla. Okonkwo tira fuori il suo machete e ne uccide uno. 
Quando il commissario del distretto torna al villaggio per andare a prendere Okonkwo, gli dicono che lui si è impiccato ad un albero nel bosco dietro casa. E la cosa tragica è che togliersi la vita è un'offesa contro la Terra e che quelli del suo clan non possono tirarlo giù e seppellirlo. Questo incarico toccherà agli inglesi, in quanto stranieri.
Uno dei più cari amici di Okonkwo dirà al commissario: 
"Questo era uno dei più grandi uomini di Umuofia. 
L'avete spinto a uccidersi, e ora sarà seppellito come un cane..."

Questo romanzo viene generalmente considerato il più importante romanzo della letteratura africana. E' il primo di una trilogia. 
Il titolo fa riferimento ad una poesia di Yeats, anche se Yeats parlava di quello che secondo lui era l'imminente crollo del cristianesimo, mentre Achebe lo utilizza per parlare del crollo della religione originaria africana ad opera del colonialismo inglese. 
Il libro è stato scritto in inglese ma al suo interno si trovano diversi vocaboli igbo, alcuni spiegati subito, alcuni spiegati nel glossario alla fine, alcuni lasciati (probabilmente in maniera voluta) senza spiegazione. 
E' un libro che ho divorato. La prima parte, in particolar modo, è molto molto interessante. Non è facile capire la cultura igbo, non è facile capire il significato di alcuni termini, ma è molto coinvolgente. La figura di Okonkwo, che lotta con tutte le forze per non essere un fannullone, per contare qualcosa, per acquisire uno status, è molto ben delineata.
La terza parte è molto triste perchè il cristianesimo è riuscito, subdolamente, a convertire delle persone che nella precedente religione non erano nemmeno considerati; finchè c'è stato il primo capo della missione, questo creava dispiacere nel clan, ma c'era una sorta di "rispetto" o forse sopportazione gli uni nei confronti degli altri. Quando questo personaggio si ammala, al suo posto arriva un capo piuttosto rigido che dichiara apertamente "guerra" alla religione africana; ciò farà esplodere i malumori, portando alla fine di una cultura, in nome di una religione pacifica che poi così pacifica non è proprio stata.
Si potrebbe parlare per giorni su questo argomento, ma visto che preferisco limitarmi alla mia esperienza di lettura, devo dire che il libro l'ho gradito molto. Avevo molta paura a leggerlo, lo ammetto, perchè dalla trama pensavo potesse essere un mattone. Beh, chiaramente l'argomento è molto pesante, ma la scrittura di Achebe si legge bene, a parte i termini sconosciuti, è una prosa semplice, scorrevole. La storia è divisa in brevi capitoli, ma finito uno è difficile non incominciare subito il seguente. Ho apprezzato molto di più la prima parte, incentrata sulla cultura igbo, con anche tutto il rapporto tra gli uomini e le divinità, mentre la terza mi pare anche scritta in modo più frenetico.
Libro consigliatissimo.
Mio voto: 8 e mezzo / 10

sabato 28 novembre 2020

Armocromia - Rossella Migliaccio


Titolo originale: Armocromia: Il metodo dei colori amici che rivoluziona la vita e non solo l'immagine (2019)

Quante volte ci capita di sentirci spenti, giù di tono, incapaci di esprimere la luce che sentiamo brillare in noi? Diamo la colpa alla mancanza di sonno, allo stress o alla giornata sbagliata, ma non siamo consapevoli che la ragione è un'altra: i colori. Come le tempere sulla tavolozza di un grande pittore, anche la nostra pelle ha bisogno degli abbinamenti giusti per risplendere. Ma come fare a orientarsi? Come capire quali sono i colori giusti per noi? Il segreto c'è, si chiama armocromia ed è il metodo scientifico ideato da Rossella Migliaccio, possiamo identificare la nostra palette di colori personale, conoscere le sfumature che ci valorizzano e imparare a far risaltare il nostro fascino e la nostra unicità. Impareremo a conoscere i colori che ci sono amici e a declinarli per scegliere abiti, accessori, make-up, arredamento... Ma non è solo una questione di immagine: riscoprire i colori ci spinge a domandarci quando e perché abbiamo smesso di usarli, a rivedere la nostra storia e, talvolta, a iniziarne una nuova. Conoscere il linguaggio segreto dei colori può cambiarci la vita, rendendoci più sicuri, più belli e, di conseguenza, più felici. (www.anobii.com)

Quando ho parlato di questo libro ad una amica (che potrebbe fare a gara con la Migliaccio per competenza in materia) mi ha risposto che questa autrice ha costruito un business su un concetto che per alcuni addetti ai lavori è una cosa ben risaputa.
Il libro mi ha messo molta curiosità. La prima metà circa, in cui spiega un po' come funziona l'armocromia, è piuttosto interessante. Quando arriva a dare consigli specifici stagione per stagione, sinceramente mi è diventato un po' noioso. Il problema è che si dovrebbe arrivare a questa parte del libro avendo già idea della stagione a cui si appartiene, quantomeno per essere più coinvolti.
Io non ho in casa i "drappi" con cui fare le prove che si dovrebbero e non sono riuscita ad identificarmi in una stagione particolare. Anzi, secondo il mio parere, guardando i colori che credo mi stiano meglio, dovrei trovarmi in una stagione che però non sembra la mia per le caratteristiche. Va beh, spero di riuscire a colmare questa lacuna perchè sarei curiosa di scoprire il risultato.
Mio voto: 6 e mezzo / 10

mercoledì 25 novembre 2020

w…w…w…wednesdays #161


"w…w…w…wednesdays" è una rubrica con la quale posso aggiornarvi sulle mie letture attuali, passate e prossime.  


Non è detto che gli aggiornamenti siano settimanali, perché non sempre leggo un libro in una settimana eh eh…
Ovviamente, se vi va, sono ben accetti i vostri interventi per condividere con me le vostre letture ;-)

Partecipare è facile, basta rispondere a queste domande:
1) cosa stai leggendo?
2) cosa hai appena finito di leggere?
3) quale pensi sarà la tua prossima lettura? 

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Le mie risposte (161^ puntata - mercoledì 25 novembre 2020)


1) cosa stai leggendo?
- Armocromia - Rossella Migliaccio

2) cosa hai appena finito di leggere?
- L'ombra del vento - Ruiz Zafòn 

3) quale pensi sarà la tua prossima lettura?  
- Fiore di roccia - Ilaria Tuti
- Le cose crollano - Chinua Achebe

Venti giorni con Julian - Nathaniel Hawthorne


Titolo originale: Twenty days with Julian & Little Bunny by Papa - 1851

Nell'estate del 1851, rimasto solo con il figlio di cinque anni, Hawthorne si ritrova di fronte a un infaticabile produttore di parole e di domande. Schivo, introverso, non è abituato alle piccole incombenze che accompagnano la vita di un bambino: vestirlo, nutrirlo, distrarlo sempre rispondendo alle sue incessanti domande. Il risultato è un modello, ironico e autoironico, del modo di intendersi di un padre e un figlio, un resoconto di un rapporto dove l'unico adulto che appare è Herman Melville che fa visita all'amico per parlare del possibile e dell'impossibile. Come osserva Paul Auster nel suo saggio introduttivo, Hawthorne è riuscito a compiere quel che ogni genitore sogna: far vivere il proprio figlio per sempre. (www.ibs.it)

Mi serviva un libro con il numero "venti" scritto nel titolo e ho trovato questo. La trama sembrava potenzialmente spiritosa. E' un libro di un centinaio di pagine, di cui 26 sono composte dall'introduzione di Paul Auster.
Hawthorne si trova da solo con un bambino di due anni, vivace e chiacchierone, perchè la moglie è andata a far visita ai genitori portandosi dietro le altre due bambine.
Il libro è stato scritto tipo diario, più che altro per far sapere alla moglie cosa è successo nei giorni che hanno passato senza di lei. In realtà dopo un po' diventa abbastanza noioso perchè molte cose sono sempre quelle: si alzano, si lavano, prova malamente ad arricciare i capelli al bambino, fanno la passeggiata per andare a prendere il latte, si fermano al lago a pescare. Hawthorne si rammarica che avrebbe voluto scrivere anche alcuni dei ragionamenti che fa il bambino, ma sono troppo lunghi e spesso non li ricorda. 

"E' impossibile scrivere, leggere, pensare, o anche dormire (durante il giorno) perchè, in un modo o nell'altro, ricorre a me continuamente; eppure è un ometto così gioviale e amabile che sa darmi, inframmezzato a tutto il fastidio, un innegabile piacere"

Sono poche le novità che rompono la routine. Ogni tanto fa loro visita Hermann Melville (sì, lo scrittore di Moby Dick). 
Una volta sono andati a far visita ad una colonia di "shakers" di Hancock, di cui Hawthorne ha un enorme disprezzo al punto da dire che "prima la setta si estinguerà - un'estinzione che, vengo a sapere con gioia, non si prevede lontana nel tempo" ed è molto fiero di Julian quando manifesta la necessità di espletare i propri bisogni corporali in quel luogo.

Julian ha una passione per la natura e i suoi doni, ed ama pescare.

"Una simile perseveranza merita certo ricompensa migliore di quella che probabilmente otterrà; anche se lui sembra divertirsi e, a cose fatte, non mostra mai alcun segno di delusione"

In alcuni punti è stato pessimo il comportamento nei confronti del coniglietto che hanno in casa. Hawthorne ha provato anche a liberarsene regalandolo ma gli è stato reso. Ad un certo punto la povera bestiola, che tutto sommato cominciava ad affezionarsi a loro, muore.

"Dopo colazione ho scavato una fossa, e abbiamo piantato il povero coniglietto in giardino; e il signorino ha espresso la speranza che per domani su di lui possa spuntare un fiore". 

Forse l'unica che è stata male per il coniglietto sono stata io.
Libro carino come idea, ma alla lunga diventa un po' ripetitivo. Simpatico in alcuni punti, ma niente di che.
Mio voto: 6 e mezzo / 10

sabato 21 novembre 2020

Pippi calzelunghe - Astrid Lindgren



Titolo originale: Pippi Långstrump - 1945 
Titolo inglese: Pippi longstocking 

"Un tempo avevo paura di rimanere in casa da sola, ma ora non più, perché Pippi è con me" ha scritto ad Astrid Lindgren una bambina giapponese. "Pippi Calzelunghe" è un libro conosciuto in tutto il mondo e tradotto in 54 lingue, di cui l'ultima dell'elenco è lo zulù. Anche voi troverete in Pippi una compagna forte, allegra, furba e ricchissima; vive sola a Villa Villacolle e non ha paura di niente: sta benissimo anche senza genitori, perché così nessuno le dice quando è ora di andare a letto o le insegna le buone maniere, che non servono a nulla se non si è veramente generosi. E Pippi, appunto, lo è. Leggete le sue avventure e vi sentirete, come lei, tanto forti da sollevare un cavallo. Età di lettura: da 7 anni. (www.ibs.it)

Mi serviva un libro in cui comparisse un'immagine capovolta e su goodreads ho scoperto questo libro (in realtà, la versione italiana che ho letto io, non ha l'immagine capovolta ma pazienza). Da piccola avevo visto la serie tv e ne ho ricordo molto divertente. Ad essere sincera, il libro, invece, mi ha lasciata un po' perplessa.
Tralasciamo alcuni elementi che sono proprio inverosimili, ad esempio che Pippi viva da sola oppure che i genitori di Tommy ed Annika li lascino andare nell'isola sperduta per mesi così senza battere ciglio, o ancora che pur non essendo mai andata a scuola in realtà parli con una grammatica corretta (anche i congiuntivi o i condizionali...). Pippi è una bambina molto fantasiosa, che dice un sacco di bugie, che è capace di sollevare un cavallo come se fosse un moscerino. E' una bambina che sa prendersi cura di se stessa, cucina leccornie ed è capace di gesti molto generosi. Di contro, è una bambina piuttosto maleducata, specialmente le due volte che ha a che fare con la scuola. Forse, visto con gli occhi di un bambino, le sue bravate sono divertenti, ma sicuramente con gli occhi di un adulto rimango un po' perplessa. Diciamo che non sono sicura che farei leggere questo libro ad un bambino, soprattutto se è un po' discolo, o potrebbe trovare delle giustificazioni per continuare a comportarsi male.
Sicuramente la lezione che Pippi ci può lasciare sono i suoi atti disinteressati di generosità e il suo saper giocare usando la fantasia (a differenza dei bambini moderni).
Lettura carina ma non mi ha fatto impazzire.
Mio voto: 6 e mezzo / 10

martedì 17 novembre 2020

Orgoglio e pregiudizio - Jane Austen


Titolo originale: Pride and prejudice (1813)

Jane Austen è una delle poche, autentiche grandi scrittrici che hanno saputo fare breccia nei cuori e nelle menti di tutti i lettori, senza eccezioni. Fra i suoi tanti capolavori, Orgoglio e pregiudizio (pubblicato nel 1813) è sicuramente il più popolare e amato: le cinque figlie dell'indimenticabile Mrs Bennet, tutte in cerca di un'adeguata sistemazione matrimoniale, offrono l'occasione per tracciare un quadro frizzante e profondo della vita nella campagna inglese di fine Settecento. I destini di Elizabeth, Jane, Mr Bingley e dell'ombroso Mr Darcy intrecciano un balletto irresistibile, una danza psicologica che getta luce sulla multiforme imprendibilità dell'animo umano, specie quando si trova alle prese con l'amore o qualcosa che all'amore somiglia (www.ibs.it) 

La famiglia Bennet è composta dai coniugi Bennet e dalle loro cinque figlie: Jane, Elizabeth, Mary, Catherine (Kitty) e Lydia. La signora Bennet è una donna frivola, la cui principale preoccupazione è cercare di far ottenere dei buoni matrimoni alle figlie, mentre il signor Bennet è un uomo intelligente e sarcastico, affezionato a Jane e soprattutto ad Elizabeth, uniche figlie con un carattere assennato e ragionevole. 
Quando il ricco e celibe signor Bingley si trasferisce a Netherfield, la signora Bennet vede l'occasione di combinare un matrimonio tra lui e una delle sue figlie. Il signor Bingley è giunto a Netherfield in compagnia delle sue due sorelle, Caroline e la signora Hurst, del marito di quest'ultima e del suo più caro amico, il signor Darcy. 
Fin da subito è chiara la grande ammirazione di Bingley per Jane. Al contrario, Darcy non mostra alcun interesse per la compagnia e quindi viene subito etichettato come un uomo orgoglioso e altero. Durante il ballo dato da Sir Lucas, Darcy definisce Elizabeth "appena passabile". Elizabeth lo sente e lo prende in antipatia. 
Jane viene invitata dalle sorelle del signor Bingley a pranzo nella tenuta di Netherfield. La madre la obbliga ad andare all'appuntamento a cavallo, sperando che la pioggia la trattenga là per la notte; infatti Jane prende freddo e si ammala, rimanendo quindi a Netherfield per diversi giorni. Preoccupata, Elizabeth va a visitarla percorrendo a piedi le miglia che le separano. Durante la visita Elizabeth e il signor Darcy discutono vivacemente a proposito delle qualità che una donna debba possedere e dei rispettivi caratteri. 
Qualche giorno dopo, la famiglia Bennet riceve la visita del signor Collins, cugino delle ragazze ed erede legittimo della loro casa (che per legge non si trasmette alle femmine) il quale spera di poter sposare una delle figlie dei Bennet. 
Nello stesso periodo la famiglia Bennet conosce Wickham, un affascinante ufficiale dell'esercito che racconta di essere stato privato dell'eredità e trattato molto crudelmente da Darcy; il racconto peggiora l'opinione che Elizabeth ha di Darcy. 
Il signor Bingley organizza un ballo a Netherfield. Il suo affetto nei confronti di Jane è palese, tanto che la società locale dà il loro matrimonio per certo. Durante il ricevimento, ogni membro della famiglia Bennet si comporta in modo da mettere involontariamente in imbarazzo Jane ed Elizabeth. 
Pochi giorni dopo, Bingley e tutto il suo seguito, si trasferiscono improvvisamente a Londra, dove resteranno tutto l'inverno. Elizabeth, letta la lettera che Caroline Bingley ha inviato a Jane, sospetta che le sorelle e Darcy abbiano intenzione di trattenere Bingley a Londra per porre fine al suo attaccamento a Jane. 
Nel frattempo il signor Collins chiede la mano di Elizabeth. Lei rifiuta categoricamente nonostante le rimostranze della madre (e qui è divertente cosa invece risponde il padre). Il signor Collins, deciso comunque a tornare a casa con una moglie, decide di sposare Charlotte Lucas, la migliore amica di Elizabeth, che sa di non avere particolari doti estetiche ed è disposta ad accontentarsi. 
Dopo il matrimonio, mentre Elizabeth è in visita presso Collins e Charlotte, Darcy, inaspettatamente, le fa una proposta di matrimonio che lei rifiuta, arrabbiata sia per via del fatto che ha allontanato Jane da Bingley sia per quello che crede abbia fatto a Wickham. Il giorno dopo lui le scrive una lunga lettera in cui spiega i motivi delle sue azioni. Elizabeth è talmente sconvolta da quello che legge, che cambia opinione su Darcy. 
Giunta l'estate, Elizabeth parte con gli zii londinesi per un viaggio di piacere nel Derbyshire, durante il quale si trovano vicino a Pemberley, la tenuta in cui vive Darcy. Convinta che il legittimo padrone non sia in casa, Elizabeth acconsente a visitare la tenuta. Tuttavia durante la visita incontra proprio il signor Darcy, rientrato prima del tempo; i modi di Darcy sono molto diversi, è incredibilmente socievole e gentile. Elizabeth è felice di potergli presentare i signori Gardiner (gli zii), che sono brillanti ed intelligenti. Il giorno seguente Darcy le presenta la sorella Georgiana, desideroso che le due giovani facciano amicizia. Elizabeth ha anche occasione di incontrare il signor Bingley, il cui comportamento le fa sperare che sia ancora innamorato di Jane. 
Elizabeth viene però raggiunta da una pessima notizia: Lydia è scappata con Wickham e non si sa se lui abbia intenzione di sposarla o meno. Elizabeth nell'emozione del momento racconta tutto a Darcy. Assieme agli zii rientra a Longbourn e lo zio raggiunge il signor Bennet a Londra per cercare la coppia. Il signor Gardiner convince il signor Bennet a tornare a casa dalla famiglia e pochi giorni dopo li avverte di aver trovato Lydia e Wickham e di averli convinti a sposarsi. Qualche tempo più tardi Elizabeth scopre che è invece stato Darcy a trovarli e a combinare il matrimonio, saldando i debiti di Wickham e pagandolo profumatamente. 
Col pretesto della stagione di caccia, Darcy e Bingley tornano a Longbourn e Bingley chiede la mano di Jane, che accetta. 
Elizabeth riceve una visita a sorpresa della zia di Darcy, Lady Catherine De Bourgh, che pretende il suo impegno a non sposarsi mai con Darcy perchè vuole che il nipote sposi sua figlia, così come avevano deciso le madri fin da quando erano nati. Elizabeth, sconvolta da questa intromissione nelle sue decisioni, tiene testa alla zia e rifiuta e Darcy, che viene a sapere dell'accaduto proprio dalla zia, si ripropone a Elizabeth, che questa volta accetta. 
L'epilogo è il matrimonio tra Elizabeth e Darcy e quello tra Jane e Bingley. 

Credo di averlo letto questo libro secoli fa ma ammetto che me lo ricordavo poco. Sì, ricordavo a grandi linee la storia e ho visto il film.
La cosa che mi è balzata subito agli occhi è che in diverse parti la storia mi ricorda molto l'altro libro di Jane Austen, "Ragione e sentimento" che ho amato: le donne frivole dedite ai pettegolezzi, il militare bello e bastardo, la protagonista composta e assennata, ... Probabilmente perchè la società dell'epoca era effettivamente così.
Mi è piaciuta molto la figura del padre, sempre con la battuta pronta, costretto a sopportare una moglie e alcune figlie frivole. Mi è piaciuta la figura di Darcy, anche se mi torna in mente sempre il viso di Colin Firth (perfetto nel ruolo). Mi è ovviamente piaciuta la figura di Elizabeth.
I personaggi sono molti, alcuni dei quali non particolarmente utili (tipo due delle cinque sorelle, che non hanno particolare spazio nel racconto).
La cosa un po' ostica di questo romanzo sono i dialoghi, perchè il modo di parlare del periodo è veramente pomposo, e di dialoghi ce ne sono veramente tanti.
Chiuso il libro, quello che rimane in mente è la storia d'amore tra Darcy ed Elizabeth. Lei crede che lui non la ritenga all'altezza e lui non sa decidersi perchè non capisce cosa pensa lei. E la prima volta che le chiede di sposarlo si becca un sonoro no ed una lavata di capo su quanto lei lo ritenga orgoglioso e odioso perchè ha allontanato Bingley facendo soffrire Jane e su quanto lo reputi infame nel comportamento che ha avuto verso Wickham. Opinioni che lei si è fatta su di lui basandosi esclusivamente su pregiudizi, in effetti. Questa sincerità sarà la molla che fa cambiare atteggiamento a Darcy, ormai innamorato un bel po' di Elizabeth, facendogli scrivere la lettera a cuore aperto che farà capire ad Elizabeth dove ha sbagliato nel giudicarlo. Una bellissima storia d'amore che si sviluppa lentamente nel romanzo (ma abbastanza appassionatamente nel cuore dei due) fino all'immancabile lieto fine.
Mio voto: 8 e mezzo / 10

lunedì 16 novembre 2020

La chiave di Sara - Tatiana de Rosnay


Titolo originale: Elle s'appelait Sarah (2007)
Titolo inglese: Sarah's key

È una notte d'estate come tante altre, a Parigi. La piccola Sarah è a casa con la sua famiglia, quando viene svegliata dall'irruzione della polizia francese e prelevata insieme ai genitori. Ha solo dieci anni, non capisce cosa sta succedendo, ma è atterrita e, prima di essere portata via, nasconde il fratello più piccolo in un armadio a muro che chiude a chiave. È il 16 luglio del 1942. Sarah, insieme a migliaia di altri ebrei, viene rinchiusa nel Vélodrome d'Hiver, in attesa di essere deportata nei campi di concentramento in Germania. Ma il suo unico pensiero è tornare a liberare il fratellino. Sessant'anni dopo, Julia, una giornalista americana che vive a Parigi, deve fare un'inchiesta su quei drammatici fatti. Mette mano agli archivi, interroga i testimoni, va alla ricerca dei sopravvissuti, e le indagini la portano molto più lontano del previsto. Il destino di Julia si incrocia fatalmente con quello della piccola Sarah, la cui vita è legata alla sua più di quanto lei possa immaginare. Che fine ha fatto quella bambina? Cosa è davvero successo in quei giorni? Quello che Julia scopre cambierà per sempre la sua esistenza. (www.ibs.it) 

Attenzione: può contenere spoiler. 

Ho letto questo libro per il gruppo di lettura. E' un libro che, nonostante la tristezza dell'argomento affrontato, si legge molto bene, è scorrevole, trascinante. 
Vorrei suddividerlo in due parti. La prima parte è bellissima, con l'alternarsi tra la vita di Sara e la ricerca di Julia. Sara è la bambina ebrea che viene trascinata via di casa coi genitori, e che crede di salvare il fratellino rinchiudendolo nell'armadio. Purtroppo non immagina che in questo modo l'ha condannato a morte. Julia è una giornalista americana di nascita ma che vive in Francia da anni, che dovendo scrivere un articolo per il sessantesimo anniversario del "Vel d'Hiv" si trova a scoprire questa vicenda di cui neanche i francesi sembrano (voler) ricordare nulla. Le loro vite si incrociano nel momento in cui Julia scopre che la casa in cui ha abitato la famiglia del marito era in realtà la casa da cui è stata buttata fuori Sara. E, quindi, comincia ad investigare sulla vita di questa bambina, mossa dalla curiosità di capire dove sia finita, perchè ad un certo punto pare scomparsa nel nulla, mentre il resto della famiglia è morto ad Auschwitz. 
Questa prima parte del libro è trascinante, si segue praticamente la storia di Sara da due punti di vista. Con ciò che scopre la giornalista, scopriamo anche gli atteggiamenti che hanno avuto i francesi in quell'occasione perchè i rastrellamenti furono sì ordinati dai tedeschi, ma vennero effettuati dai poliziotti francesi, poliziotti che fino a pochi giorni prima parlavano tranquillamente con la famiglia di Sara, mutando atteggiamento di punto in bianco. Un episodio nella storia francese di cui preferiscono non parlare, fare finta di non sapere cosa sta succedendo. Questo senso di vergogna si sente proprio bene. Julia invece è l'americana per cui tutto deve essere verità, tutto deve essere trasparente. E fino a che investiga sulla storia di Sara il libro è proprio bello. Pieno di molti avvenimenti tristi, ma bello.
Poi arriva ad un punto in cui Julia, mossa sempre dal desiderio di trovare questa donna, che ormai è intorno ai settant'anni, aiutata anche da alcune delle persone che avevano conosciuto Sara da bambina, riesce a scoprire dove vive suo marito. Ma qui ha una brutta sorpresa: Sara è morta quando aveva circa quarant'anni per un incidente in macchina. E qui, secondo me, comincia la seconda parte, in cui il desiderio di trovare Sara e di farla, in qualche modo, rivivere, diventa una vera e propria ossessione che fa perdere a Julia il lume della ragione. Julia non si ferma alla morte di Sara, ma arriva addirittura a trovare il figlio, il quale era completamente ignaro di tutta la situazione e gli sconvolge la vita. Forse perchè in parallelo è anche la stessa vita di Julia che sta traballando, ma a questo punto il libro perde decisamente di brio e diventa concentrato quasi esclusivamente su Julia, suo marito, il bambino in arrivo. Oltre al fatto che mi chiedo: se Sarah ad un certo punto, per provare di sopravvivere nonostante la tragedia che si porta dentro, decide di cambiare continente e non dire a nessuno, nemmeno al marito, quello che ha passato, è giusto che arrivi una perfetta sconosciuta e che riveli tutto? Non lo so, sinceramente non sono convinta. Oltretutto, il finale è molto aperto, sembra lasciar intendere che ci possa essere qualcosa tra Julia e il figlio di Sara. Mah. 
Mio voto: 7 e mezzo / 10

venerdì 6 novembre 2020

Era il mio migliore amico - Gilly MacMillan


Titolo originale: Odd child out (2017)

Noah Sadler e Abdi Mahad sono due amici inseparabili. Per questo motivo, quando il corpo di Noah viene trovato in un canale di Bristol, il silenzio di Abdi è inspiegabile. Perché non parla? Il detective Jim Clemo è appena tornato dopo un congedo forzato che l'ha allontanato dal suo ultimo caso. La morte di Noah sembra l'incidente perfetto con cui tenerlo occupato, vista la sua testa calda. Ma ben presto quello che pareva un gioco tra ragazzi finito molto male si trasforma in un caso al centro del dibattito pubblico: Noah è inglese, Abdi un rifugiato somalo. E le tensioni sociali stanno degenerando a Bristol, mentre le due famiglie combattono contro la paura e la rabbia cieca per ottenere le risposte che cercano. Nessuno di loro sa quanto sarà lunga la strada per capire che cosa è successo davvero o quali orrori dovranno affrontare. Perché la verità spesso fa male. (www.ibs.it)

Mi era piaciuto tantissimo il precedente libro di questa autrice (9 giorni), dove il poliziotto incaricato delle indagini era sempre Jim Clemo.
Questo libro invece mi lascia un po' perplessa, perchè comincia dalla vicenda dei due ragazzini per poi partire per la tangente e tornare alla vicenda dei ragazzini solo nel finale.
All'inizio, ci sono questi due ragazzi, uno bianco malato terminale di tumore e l'altro nero rifugiato somalo. I due sono amici per la pelle e una sera sgusciano fuori di casa per fare qualcosa di eccitante che poi si rivela una tragedia. In questa parte è Noah stesso, dal letto di ospedale, che ci racconta per filo e per segno cosa fanno, dove vanno, eccetera, alternato alla sorella di Abdi e al detective Clemo che cercano di capire cosa è successo. Poi Abdi ad un certo punto, dopo essere stato giorni in silenzio, esce di casa e non torna più, perchè ha una sua missione personale da portare a termine. E qui viene sviluppato il passato di Abdi e della sua famiglia nel campo profughi, il tutto nato dal fatto che sua madre quando ha visto un certo uomo al Welcome Centre è incredibilmente svenuta. E questo uomo ha un legame con una fotografia scattata al centro profughi in Somalia dal padre di Noah (fotografo di fama). La vicenda di per sè è anche interessante, ma non c'entra nulla con la vicenda da cui eravamo partiti, infatti ad un certo punto mi sono chiesta "sì, ok, ma tra Noah e Abdi cosa è successo?". Questo lo scopriamo nel finale, dove è proprio Noah in una lettera che spiega tutto.
Credo che l'autrice abbia colto l'occasione di parlare di un ragazzino somalo per allargarsi agli immigrati, alle violenze e simile, ma alla fine viene praticamente tralasciata la storia di partenza, che anzi viene chiusa giusto per chiuderla. A mio parere, sono due storie ognuna delle quali poteva avere vita propria, anzichè incastrarle a forza.
Scrittura scorrevole, molti personaggi (tra cui la super testimone che ha assistito ai due ragazzi che si spintonavano e che alla fine è inutile). La narrazione è fatta un po' in terza persona, un po' in prima, ma si legge bene. Nel complesso non mi ha convinto molto.
Ah, la copertina è bellissima, ma non c'entra nulla!
Mio voto:  6 e mezzo / 10

domenica 1 novembre 2020

44 gatti in noir - AA.VV.


Titolo originale: 44 gatti in noir. Seconda antologia di racconti in memoria di Marco Frilli (2018)

Seconda antologia di racconti in memoria di Marco Frilli. In questa seconda antologia di racconti che dedichiamo a chi molti di noi definivano 'Grande Capo' protagonisti, oltre Marco stesso e gli investigatori 'seriali' creati dagli autori, sono gatti. Chi - lettore o scrittore - ha la fortuna di coabitare con amici dalle sette vite certo conosce la loro passione per le parole, che siano già stampate o in composizione: non appena si abbandona un libro o la tastiera del pc, anche per qualche secondo, ecco che immancabilmente i nostri compagni pelosi vi ci si sdraiano sopra, fino a spingersi come Cattarina, la micia del nostro 'nonno putativo' Edgar Allan Poe, a prendere forma di colli di pelliccia sulle spalle di chi legge o crea. Comunque, qui non si possono certo lamentare di non aver ricevuto le dovute attenzioni: in quarantaquattro storie noir talentuosi autori (Frilli e non solo) li hanno resi attori protagonisti o caratteristi indispensabili, interpreti declinati in tutte le sfumature caratteriali proprie dei piccoli felini, apparentemente imperscrutabili e spiazzanti, che vanno dal nero di una notte omicida al rosa dell'amore riconoscente che solo gli animali sanno sempre incondizionatamente dare. Insieme a loro, come si diceva, investigatori (e non solo) nati dal connubio tra fantasia e inchiostro incontrano Marco Frilli - editore, amico, vulcanico consigliere, critico costruttivo e, su tutto, lavoratore infaticabile e padre di famiglia - che gli autori (suo figlio Carlo compreso) hanno avuto la capacità di ricordare non con elogi retorici ma rendendolo ancora vivo e pieno di verve. Perché, come sosteneva Pablo Picasso, "tutto ciò che puoi immaginare è reale", credo che chi leggerà questi racconti avrà la sensazione che Marco se ne sia sì andato, ma per una meritata vacanza dalla quale, prima o poi, farà ritorno. (www.anobii.com)

Come dice la presentazione, il libro è composto da 44 racconti in cui ci sono come protagonisti anche i gatti (tra l'altro, in uno vengono citati i miei siamesi adorati Koko e Yum Yum della serie di Lilian Jackson Braun). In tutti i racconti compare anche Marco Frilli, nel ruolo di sè stesso, editore e gattofilo.
Da quello che ho capito, Marco Frilli è stato il fondatore dell'omonima casa editrice, adesso seguita dai figli, la quale, almeno all'inizio, ha cominciato a pubblicare libri gialli / noir ambientati a Genova.
Sapete bene che non amo i racconti, ma mi serviva un'antologia e questo libro, acquistato mesi fa, cadeva a fagiolo. Oltretutto, parte dei proventi del libro venivano devoluti in beneficienza, ma questo è un altro discorso.
Quello che traspare dai racconti è che questo Marco Frilli è stato molto amato dagli autori che ha pubblicato e, in generale, dalle persone che aveva intorno, perchè era una persona molto cordiale, spiritosa, piacevole da averci a che fare. Alcuni dei racconti sono molto teneri, alcuni un po' macabri. Lo ammetto, non ne ho trovato uno che mi abbia fatto impazzire. Probabilmente questa raccolta è più apprezzata da chi conosceva Frilli e per cui i racconti hanno anche una componente affettiva. A me ha fatto piacere leggerli ma sì, niente di che, diciamo che nessuno dei racconti mi ha fatto venire voglia di leggere qualcosa degli autori che li hanno scritti. Ma magari una volta o l'altro mi capiterà un giallo della Frilli Editori sotto mano. Piacevole ma niente di che (però lo ripeto, i racconti sono un genere che amo poco...).
Mio voto: 7 / 10