mercoledì 28 novembre 2018

w…w…w…wednesdays #124




"w…w…w…wednesdays" è una rubrica con la quale posso aggiornarvi sulle mie letture attuali, passate e prossime.  
Non è detto che gli aggiornamenti siano settimanali, perché non sempre leggo un libro in una settimana eh eh…
Ovviamente, se vi va, sono ben accetti i vostri interventi per condividere con me le vostre letture ;-)

Partecipare è facile, basta rispondere a queste domande:
1) cosa stai leggendo?
2) cosa hai appena finito di leggere?
3) quale pensi sarà la tua prossima lettura? 

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Le mie risposte (124^ puntata - mercoledì 28 novembre 2018):

1) cosa stai leggendo?
- Il testamento francese (Andrei Makine)

3) quale pensi sarà la tua prossima lettura?  
Ormai comincia il periodo in cui tiro le somme delle challenges e provo a chiudere tutte quelle che riesco. I libri che mi propongo di leggere da qui a fine anno sono:
- La setta dei golosi (Giuseppe Pederiali)
- Fuga dal natale (John Grisham)
- Leggere è una cosa da gatti (Alex Howard)
- Il rosso vivo del rabarbaro (Audur Ava Olafsdottir)
- Se una notte d'inverno un viaggiatore (Italo Calvino)
- "a book to improve your life" - ancora non ho idee...
- "a craft related cozy mystery" - ma solo se riesco ...
alcuni sono abbastanza corti, ma non so mica se riesco. Vedremo!

lunedì 26 novembre 2018

L'arminuta - Donatella Di Pietrantonio


Titolo originale: L'arminuta - 2017

Ci sono romanzi che toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L'Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto - una casa confortevole, le amiche piú care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.(www.einaudi.it)


«Ero l'Arminuta, la ritornata. Parlavo un'altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza».

- Ma la tua mamma qual è? - mi ha domandato scoraggiata. 
- Ne ho due. Una è tua madre.


La vicenda narrata in questo libro si svolge in Abruzzo, ma lo sappiamo solo perchè viene detto dall'autrice. I luoghi non sono identificati, si parla della città, si parla del paese, si parla del mare, ma non hanno nomi. Anche alcuni dei personaggi, in primis la protagonista e la madre naturale, non hanno un nome. Questo rende la storia molto universale, in effetti.
La storia si snocciola in brevi capitoli. La scrittura è abbastanza asciutta, non si dilunga in descrizioni, ed è molto efficace. In un primo momento questo stile mi ha un po' lasciata perplessa, ma ciò che fa risaltare bene sono i sentimenti, a volte espressi senza parole ma con piccoli gesti. Ho sentito tutto lo smarrimento della ragazzina, praticamente "rubata" alla famiglia d'origine (perchè Adalgisa voleva proprio lei e si è impuntata) e poi restituita senza motivo come un vestito che non va più bene. Il motivo si scoprirà verso la fine del libro e mi ha veramente fatto crollare la stima sul personaggio di Adalgisa, nonostante lei abbia continuato a mantenerla a distanza. La famiglia originaria dell'arminuta è numerosa, caotica, e molto molto povera; ben diverso da come era abituata prima. Per fortuna che la maestra e la (vera) madre la fanno studiare. Nella nuova famiglia, l'arminuta si affeziona in particolare ad Adriana, sorella di poco più piccola che ogni notte fa la pipì a letto; ma è una bambina con una grinta e una tenacia incredibili. "Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza". La complicità salva entrambe.
Mi è piaciuto molto anche il personaggio del fratello Vincenzo, anche se la storia stava un po' andando verso complicazioni sentimentali/ormonali, lui è un ragazzo con uno spirito ribelle che già si sente uomo e prova ad aiutare la famiglia ma non viene mai ringraziato perchè danno per scontato che ciò che porta a casa sia sempre frutto di furti e non di lavoro.
Per il complicato rapporto madre-figlia mi ha un po' ricordato il libro della Murgia, "L'accabadora".

“Nel tempo ho perso anche quell’idea confusa di normalità e oggi ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. [...] La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure”.

La cosa che mi rimane di più, forse, è la sensazione di vuoto. Due madri, ma nessuna delle due che alla fine sia completamente tale. Adalgisa l'ha voluta tenacemente, ma fa anche presto a buttarla fuori di casa quando la vita le dà ciò che ha sempre desiderato. La madre naturale, che si ritrova una ragazzina troppo educata, troppo diversa dai suoi figli, troppo lontana ormai per accorciare le distanze (ma in un paio di occasioni si mostra molto tenera con lei).
Ho letto che questa pratica del dare un figlio ad una parente senza figli era piuttosto frequente fino agli anni settanta.
Nel complesso il libro mi è piaciuto.
Mio voto: 8 / 10

lunedì 19 novembre 2018

Il gatto che vedeva rosso - Lilian Jackson Braun


Titolo originale: The Cat Who Saw Red (1986) 

«A Jim Quilleran, giornalista del Daily Fluxion, viene affidata una rubrica gastronomica, e nonostante sia a dieta, dovrà visitare i migliori ristoranti. Il primo di questi locali è il Maus Haus, di proprietà di un bizzarro mecenate, che ospita artisti geniali e misconosciuti. Ma c'è qualcosa di strano a Maus Haus. E non si tratta soltanto di un misterioso e non risolto suicidio avvenuto in passato, perché qualcosa di sinistro grava anche sul presente. Qwilleran si reca dunque sul posto e subito cominciano ad accadere strani eventi. Prima un grido nella notte, poi la scomparsa di un giovane cameriere. Ma solo quando scompare anche la sua vecchia fiamma, Qwuilleran decide che non può più stare con le mani in mano. Assieme a Koko,il magnifico siamese dotato di uno straordinario talento, e Yum Yum, la bella gattina adorata dai due, arriverà a svelare tutti i misteri. Un delicato mystery, spiritoso, brillante che piace proprio per questa sua sbarazzina impertinenza, con personaggi originali e deliziosamente improbabili.». (Dalla quarta di copertina)

Jim Qwilleran ritrova una sua vecchia fiamma, anzi, la sua prima fidanzata che non ha mai dimenticato. Purtroppo lei è sposata con un ceramista piuttosto rozzo, ma Qwill decide comunque di cambiare casa e trasferirsi dove abita lei, a Maus Haus, questa specie di "convitto" gestito da Robert Maus, avvocato appassionato di cucina. E in questa casa trovano quindi alloggio diversi personaggi, tutti artisti o giù di lì.
Questo romanzo della Braun è stato pubblicato 18 anni dopo i primi tre della serie de "il gatto che...". Gli editori della Braun le avevano chiesto di aggiungere sesso e violenza ai suoi libri e lei non aveva accettato. In effetti, questo libro è sicuramente il più "truce", ammesso che si possa utilizzare questo aggettivo coi romanzi della Braun; in tutti gli altri, l'autrice non si sofferma mai su quanto sia cruento l'omicidio, lasciando in primo piano, in effetti, l'abilità di Koko e la stravaganza di Qwilleran. Anche se li sto rileggendo tutti per poterli raccontare sul mio blog, questo quarto libro è quello che anche alla prima lettura non mi era piaciuto troppo e mi aveva lasciato perplessa perchè era proprio fuori dal suo stile.
In questo romanzo, tanti personaggi che fanno "caos" ma che non aiutano molto la vicenda. La stessa fiamma di Qwill non è che abbia attirato troppo la mia simpatia. I siamesi invece li adoro.
Carino.
Mio voto: 6 e mezzo / 10

Jane e il segreto del medaglione - Stephanie Barron


Titolo originale: Jane and the Wandering Eye (1998)

Bath, 1804. Il Natale è alle porte e a Jane, annoiata dall'atmosfera monotona della cittadina, non sembra vero quando il suo vecchio amico Lord Harold Trowbridge le chiede di fare da accompagnatrice alla sua giovane e affascinante nipote, Lady Desdemona, giunta a Bath per sfuggire alle indesiderate attenzioni di un poco galante signore. Le due giovani intendono approfittare di tutti gli svaghi che la provinciale Bath offre in vista dei festeggiamenti natalizi. Ma il tempo delle distrazioni è destinato a finire bruscamente quando una sera, in occasione di uno spettacolo al Theatre Royal, le due giovani si ritrovano involontarie spettatrici di un orrendo omicidio, che si consuma nel foyer. A ispessire il mistero, uno strano oggetto rinvenuto addosso al cadavere: un medaglione contenente l'immagine di un occhio. Chi era quell'uomo? Quale messaggio si nasconde in quell'insolito oggetto? A chi appartiene l'occhio raffigurato? La coraggiosa Jane, assetata di avventura, si butta a capofitto nelle indagini, sempre affiancata dall'indecifrabile e seducente Lord Harold, per rendersi ben presto conto che la verità potrebbe costarle la sua stessa vita... (www.libreriauniversitaria.it)

Faccio una correzione alla descrizione ufficiale, perchè in realtà l'assassinio non avviene al Theatre Royal bensì a Laura Place, dove la Duchessa Madre di Wilborough ha dato una festa in maschera in onore degli attori del teatro. Del crimine viene accusato il fratello di Lady Desdemona, diciottenne che suscita l'ammirazione di diversi uomini e che neppure lei sa chi preferisce (o meglio, lo sa, ma preferisce negarglisi per non dargli soddisfazione).
La storia è molto contorta, vuoi per la vicenda in sè, vuoi perchè i protagonisti erano praticamente tutti alla festa ma mascherati, e quindi bisogna capire chi aveva quale maschera.
Mi è decisamente piaciuto meno del precedente, ammetto che non ha tenuto viva la mia attenzione al punto che lo usavo come libro per la buonanotte... Non sono riuscita a seguire bene gli indizi, ammesso che ce ne siano, perchè mi pare che la vicenda andasse avanti da sola.
Carino, ma con troppi personaggi anche inutili. Mi piace la "relazione" (proprio tra virgolette) tra Jane e Trowbridge. Sarebbero proprio una bella coppia!
Mio voto: 6 e mezzo / 10

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Le indagini di Jane Austen:

Quello che l'acqua nasconde - Alessandro Perissinotto


Titolo originale: Quello che l'acqua nasconde (2017)

Edoardo Rubessi è un genetista di fama mondiale, un probabile premio Nobel. Quando, dopo trentacinque anni trascorsi negli Stati Uniti, torna nella sua Torino, tutti lo accolgono come colui che ha il potere di cambiare il destino dei bambini malati: tutti tranne il vecchio. Il vecchio è un uomo venuto dal passato, da quegli anni di piombo che Edoardo credeva di aver lasciato dietro la porta chiusa di una vita precedente. Ma basta una minuscola fenditura nel legno di quella porta perché il dolore e i misteri imprigionati per decenni escano in un soffio violento che investe Edoardo, e che fa vacillare la fiducia che sua moglie, Susan, ha sempre avuto in lui. E sarebbe bello poter liquidare il vecchio con una battuta, dire che è solo un mitomane, ma Susan non ci casca: il vecchio ha lo sguardo di chi sa farsi ubbidire, lo sguardo di un Lagerkommandant, e Susan quel lager domestico, quell'orrore alle porte di casa dovrà esplorarlo mattone per mattone prima di scoprire chi è veramente suo marito.
Dopo Le colpe dei padri, Perissinotto torna a proporci un nuovo viaggio tra le rovine del nostro passato recente, a farci esplorare le memorie rimosse: perché i lager non si sono chiusi nel 1945 e il crudele gioco di vittime e torturatori è continuato a lungo, troppo a lungo. (http://www.edizpiemme.it/)

Questo libro lo abbiamo letto col gruppo di lettura. Non è sicuramente il genere di libro che sceglierei di mia spontanea volontà. E' un libro che avrei chiuso nelle primissime pagine, quando il narratore, Aldo, dice che c'è un'immagine che lo perseguita, e spiega che è l'immagine di un uomo arso vivo. Ecco, mi sono detta, se va avanti così non arrivo in fondo. Poi mi sono sforzata e ho proseguito (peraltro questa immagine verrà citata più volte, insieme ad altre piuttosto raccapriccianti).
Ho fatto fatica a star dietro alla parte storica perchè degli anni di piombo so poco, soprattutto di cosa successe a Torino, so giusto qualcosa che successe qui a Bologna. Lo scrittore mi ha dato l'impressione di dare per scontato che chi legge sa di cosa stiamo parlando, e per me non è stato così. Anzi, in realtà all'inizio avevo pensato che si trattasse di un romanzo puramente ambientato in quegli anni (cioè che tutti i personaggi fossero inventati, magari ispirati a qualcuno vissuto davvero ma inventati), finchè ad un certo punto ho avuto una specie di "illuminazione" e mi sono chiesta "ma questi personaggi sono esistiti davvero??" e ho scoperto che alcuni, sì, erano esistiti, quindi si trattava di una vicenda romanzata (la vita di Rubessi, Susan e Aldo) ma collocata in un contesto storico reale. Va beh, forse stupidità mia.
In ogni caso, ho avuto l'impressione che l'autore abbia provato a creare un mega thriller ma non è riuscito affatto in questo intento. Ammetto che la scrittura è scorrevole e intrigante, ma questo aggiungere sempre elementi nuovi, ad un certo punto mi ha stancato. Mi sembra abbia voluto mettere troppe cose in una storia che di per sè era già abbastanza corposa. Parte con gli attentati terroristici, poi passa a parlare di questo Grubesich, poi l'esodo degli italiani dall'Istria, i manicomi, di nuovo il terrorismo. E' veramente tanto tutto insieme. Dal momento che il professor Rubessi è inventato, poteva anche mettergli addosso un po' meno cose. Ho fatto fatica a stare dietro a tutto. Veramente raccapricciante la storia dei manicomi. E il finale mi ha lasciato un po' perplessa perchè pare un po' troppo "semplice" per tutto il caso che ha montato.
Mi piace il richiamo che fa all'acqua, l'acqua che lo protegge e lo isola dal resto del mondo; è solo nell'acqua che riesce a parlare del suo passato.
Forse la chiave di lettura era concentrarsi sulla storia di Rubessi, cioè sulla parte romanzata, sulla sofferenza dell'uomo; invece mi sono sicuramente fatta distrarre dalla componente di realtà storica che non ho capito fino in fondo.
Ha molti spunti interessanti. Al gruppo di lettura è piaciuto molto. A me un po' meno.
Mio voto: 6 e mezzo / 10