Titolo originale: Γолемата Вода (Golemata voda) (1971)
Titolo in inglese: The big water
Lem e Keïten sono orfani, due cani erranti nella Jugoslavia di Tito. Raccattati dalla strada, vivono in un ex manicomio adibito a orfanotrofio, circondati da un muro altissimo che impedisce ai loro sogni di farsi largo nel mondo reale. Quando i pidocchi invadono la Clarté, Lem e Keïten sono scortati sulla riva di un lago e tosati come bestie per arginare l'epidemia. La Madre Acqua li osserva inerme, sola responsabile della loro disgrazia e insieme unica fonte di speranza. Nell'orfanotrofio vige un clima di terrore. La compagna Olivera Srezoska e il piccolo padre Ariton Iakovleski tengono le redini di un serrato controllo. L'arte e la risata sono le uniche armi con cui è possibile bucare il muro e sentire ancora il mormorio della Madre Acqua. Un romanzo lirico e nero, l'antidoto che l'uomo porta con sé fin da quando è bambino per difendere la propria libertà. (ibs)
ATTENZIONE contiene spoiler
Ho trovato questo scritto nella "disperata" ricerca di un libro ambientato in Macedonia (operazione non così facile..)
Partiamo dal fatto che questo non è un libro facile. La scrittura è molto particolare, a volte descrittiva, a volte visionaria, non proprio facile da seguire. Non posso dire di aver capito al cento per cento quello che l'autore voleva dire. Il senso generale è chiaro, siamo nella Jugoslavia comunista di Tito. I bambini orfani di guerra vengono rinchiusi in orfanotrofio dentro ad un ex manicomio, dove tutto è rigidamente stabilito, dove non c'è spazio per i propri pensieri, dove ci sono regole e atteggiamenti da seguire e così deve essere. Finchè arriva all'orfanotrofio (che si chiama "Chiarezza") un bambino chiamato Keiten che ride di continuo e di cui Lem (voce narrante) diventa amico. Keiten si estranea dal mondo, sogna altri posti.
L'orfanotrofio è circondato da un muro enorme, su cui campeggiano ancora le scritte dei precedenti abitanti di quel luogo. Il muro ha sicuramente un’importanza anche metaforica, come muro di una prigione che non permette ai bambini di sognare o immaginare un futuro. E nei due bambini c'è una ricerca impellente di questa “Grande Madre Acqua”, che per loro è speranza di libertà.
«Presto avrei visto anch'io la Madre Acqua: grandiosa, splendida, l'immagine più bella e misteriosa della mia vita. Mio Dio, presto lei ci avrebbe accolti col suo sguardo dolce e limpido, con i suoi occhi materni.»
Non vi racconto tutte le vicissitudini tristi a cui sono sottoposti i bambini ma voglio solo spendere due parole su un commovente finale. Keiten è finito preda delle angherie di un altro bambino, che lo ha spiato dal momento in cui ha rubato un legnetto per intagliarlo in segreto, fino a denunciarlo agli adulti. E quando il Piccolo Padre gli chiede cosa pensava di fare con questo legnetto, Keiten commosso gli risponde che voleva solo fare una madre. A quel punto, anche il Piccolo Padre si ammorbidisce.
«Che io sia maledetto, disse proprio così: una madre. Il silenzio calò su di noi, e in un attimo gli occhi di tutti si voltarono verso il pezzo di legno che Ariton Iakovleski teneva tra le mani. Mio Dio, non era più un pezzo di legno, era una madre! Per la prima volta il Piccolo Padre sembrava confuso, commosso, senza parole.»
La cosa che mi ha dato fastidio è la costante presenza dell’esclamazione "Che io sia maledetto!" praticamente in ogni frase, e, a lungo andare, risulta una seccatura. Non mi è, invece, molto chiaro che cosa rappresenta il Monte che viene spesso citato da Lem.
Lettura interessante, non facile.
Mio voto: 7 e mezzo / 10
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