mercoledì 26 febbraio 2014

Le menzogne della notte - Gesualdo Bufalino

 
 
Premio Strega nel 1988.
Ambientazione: un carcere collocato su un'isola del mediterraneo, o, per meglio dire, su uno scoglio dal quale chi ha provato ad evadere si è trovato cadavere sugli scogli. Siamo nell'Ottocento, periodo di dominazione borbonica.
La sera prima di essere giustiziati, quattro amici condannati per reati di lesa maestà agli ordini di un soggetto che si fa chiamare "Padreterno" si ritrovano tutti insieme nella stanza per la veglia, con vista sul patibolo. Il governatore del carcere ha lasciato un foglio vuoto ciascuno e ha fatto loro una proposta: se uno solo di loro scriverà il nome del fantomatico Padreterno, tutti avranno salva la vita. Altrimenti tutti moriranno nella ghigliottina.
Nella stanza della veglia si trova anche un altro condannato, frate Cirillo, famosissimo brigante sanguinario e devoto, che per passare il tempo propone che loro gli raccontino un episodio della loro vita, reale o inventato, quello a cui penseranno nel momento in cui calerà la lama. 
Si susseguono così le storie dello studente Narciso, del soldato Agesilao, del barone Ingafù e del poeta avventuriero Saglimbene. Lo scopo di frate Cirillo, è strappare ai quattro amici il nome del Padreterno. Ma gli avranno detto il nome giusto o avranno capito chi si nasconde sotto gli stracci del brigante in realtà già giustiziato il giorno prima?
 
La prima parola che mi viene in mente chiudendo il libro è: geniale. Bufalino ha creato una trama molto accattivante, con una conclusione che non vi svelo, ma che è estremamente da colpo di scena.
Un difetto enorme di questo libro: il linguaggio datatissimo, con parole che credo non esistano nemmeno più sui vocabolari. Se si riesce a superare questo scoglio, il libro è molto bello.
Mio voto: 7 e mezzo.
 

XY - Sandro Veronesi


 
Borgo San Giuda è un piccolissimo paese del trentino abitato da 42 anime. Un posto praticamente inesistente, dove l'unico evento accade d'inverno, quando Beppe Formento porta i turisti a visitare il paese, passando accanto ad un suggestivo albero ghiacciato, che provvedeva lui stesso a ghiacciare.
Una mattina, alle dieci, la slitta si presenta puntuale in piazza ma è vuota, e Zorro, il cavallo, è in evidente stato di shock.
La stessa mattina, la psichiatra Giovanna Gassion si sveglia e trova riaperta una cicatrice ad un dito che si era fatta 15 anni prima.
Coincidenze?
Don Ermete, Sauro Formento (fratello di Beppe) e Zeno Formento (il figlio di Beppe) si recano dal grande albero ghiacciato e trovano una scena raccapricciante. L'albero è ghiacciato ma interamente intriso di sangue, e nel prato ci sono i cadaveri di dieci persone, che le autopsie rivelano essere morti di dieci cause differenti e assolutamente incompatibili col luogo in cui si trovano. E ancor più misterioso è che il dna di ognuno di loro è presente nel sangue dell'albero ghiacciato.
Gli abitanti del paese iniziano a disertare la chiesa, ritenendosi traditi dal parroco e ritenendo che il santo che hanno pregato non sia San Giuda il santo degli impossibili, ma Giuda il traditore.
La polizia chiude il discorso dicendo che deve essersi trattato di un attacco terroristico di matrice islamica. Ma dal giorno della strage, sul paese non batte più il sole e sono costantemente avvolti dalla nebbia.
Don Ermete, portando all'ospedale di Cles un suo parrocchiano, si mette a girare per i corridoi, ritrovandosi davanti al reparto di salute mentale dove sta montando in servizio proprio Giovanna. E a lei chiede aiuto.
Giovanna decide di trasferirsi a Borgo San Giuda per aiutare gli abitanti, fingendosi un medico condotto.
“Tutte queste persone da affrontare, da domani mattina, alle quali pare sia successa la stessa cosa che è successa a me – solo che a loro le cicatrici si sono riaperte metaforicamente, come deve essere, mentre a me...”
Tuttavia, la scienza pare non essere di alcun aiuto nella soluzione del caso. 
“Allora un altro strumento può essere l'osservazione pura delle cose, la mera constatazione di quello che sono, senza la necessità di scoprirvi per forza un senso”. “Credere è un modo di accettare il mistero, Giovanna, e di andare oltre. Restare scettici invece impedisce di superarlo, e di vedere cosa c'è di là”
Giovanna e Don Ermete hanno entrambi una colpa che li perseguita. Nel momento in cui accettano di "elaborare il lutto" e proseguire con la loro vita, sembra che vengano avvolti da una nuova energia vitale. Addirittura viene ritrovata la bambina che era scomparsa dal luogo della strage.

Dunque. Avevo cercato questo libro per la A-Z challenge nel 2011, quindi ho semplicemente guardato il titolo e non mi aspettavo niente di particolare. O, meglio, immaginavo fosse una specie di giallo, per cui mi ha lasciato un po' spiazzata il fatto che il finale non risolve nulla. 
Il libro, se posso dirlo in questo modo, è una enorme metafora, sembra di finire in un incubo senza soluzione, in una situazione di pura follia, sembra di vedere la rassegna dei peggiori crimini di cui sentiamo parlare sui giornali (tutti vengono concentrati nell'albero insanguinato). In effetti, quando ho letto la lista delle morti, mi sono chiesta da quale mente malata potesse venire un elenco simile e raccapricciante.
La gente del paese, nel momento in cui si trova al centro di questa folle tragedia, reagisce tirando fuori odii e rancori covati negli anni, che non riescono più ad essere trattenuti. Gli stessi Don Ermete e Giovanna, confessano di avere una "colpa", un avvenimento della loro vita che li perseguita.
Tutto sommato, se comunque non viene risolto il mistero della strage, il libro ha un lieto fine: accettato il suo lutto, Giovanna trova nuova energia; Don Ermete decide di tornare nella comunità del sudamerica in cui stava prima. Viene anche ritrovata la bambina dispersa e sta bene.
Non lo so, la storia era anche intrigante, forse semplicemente non è il mio genere di libro e quindi faccio fatica ad esserne entusiasta. 
Mio voto: 6 e mezzo.

Così in terra - Davide Enia


Davidù è praticamente nato dentro al mondo del pugilato. Suo padre era il Paladino, il miglior pugile che poteva avere l'Italia, se un incidente in moto non lo avesse strappato alla vita poco prima delle finali nazionali. Suo zio Umbertino era stato un altro grande pugile. Pugile era stato anche il nonno. Così in modo molto naturale finisce anche lui a tirare pugni agli avversari, dalla palestra di zio Umbertino ai ring in giro per l'Italia, con uno stile e una bravura che richiama quello dei suoi predecessori familiari, facendo tesoro dei loro errori, per arrivare laddove loro hanno fallito.
 
La prima parte del libro è pesante, noiosa, piena di cattiveria umana; mi ha fatto venire voglia di chiuderlo. In seguito il libro si riscatta notevolmente e si sviluppa in un intreccio di vite e di storie: quella di Davidù, dello zio Umbertino, di nonno Rosario durante la guerra, e di altri personaggi ben caratterizzati che fanno loro da cornice. Ritengo però che l'intreccio tra le storie sia decisamente poco efficace, i salti temporali a volte si seguono faticosamente perchè interrompono e staccano molto la narrazione. Le storie sono cioè molto belle, anche ben raccontate, ma incastrate tra loro con poca grazia. Altra cosa che ho trovato quasi fastidiosa, l'uso eccessivo del dialetto palermitano che, sebbene caratterizzi molto i personaggi e il luogo in cui si svolge la vicenda, a tratti mi ha lasciato totalmente dubbiosa su cosa realmente stavo leggendo.
Molto bella anche l'amicizia tra Davidù e Gerruso, nata per caso e più profonda di quello che Davidù stesso vuole ammettere. Deliziose alcune perle di saggezza della nonna Provvidenza.
Mio voto: 6/10

La piazza del diamante - Mercè Rodoreda


 
Barcellona. Natàlia partecipa ad una festa in piazza, dove un ragazzo si avvicina e le chiede di ballare. Lui è Quimet, e dice che lei può avere un solo nome: Colombetta.  
Quimet e Natàlia si sposano. Lei si accorge subito che deve sottostare a ciò che decide il marito e agli interessi di lui. Hanno un figlio, Antoni, con felicità estrema della suocera. Poi un giorno Quimet trova un colombo ferito, lo cura e decide di trasformare la casa in una colombaia. Un anno e mezzo dopo, nasce un'altra bambina, Rita.
Il lavoro comincia a non andare molto bene per Quimet e lui è spesso in giro con gli amici per non si sa quali traffici. Natàlia decide di trovare un lavoro che le occupi solo la mattina, fare le pulizie a casa di signori. Nel frattempo, si rende conto che in sua assenza i colombi diventano i padroni di casa. 
“Si sentiva solo il tubare dei colombi. Mi ammazzavo a pulire i colombi. Puzzavo tutta di colombi. Colombi in terrazza, colombi in casa; me li sognavo. La ragazza dei colombi”
Natàlia diventa insofferente nei confronti dei colombi e vuole disfarsene. Inizia quindi a disturbarli mentre covano, in modo che lascino i covatoi. Poi, visto che non funziona, comincia a scuotere furiosamente le uova per uccidere il colombino.  
Dopo qualche mese, Quimet decide di partire per il fronte d'Aragona. Natàlia e i bambini iniziano a soffrire la fame, al punto da mettersi a letto presto per non pensare che non hanno da mangiare.
Finchè un miliziano suona alla sua porta per dirle che Quimet è morto.  
“Giovani e vecchi, tutti in guerra, e la guerra li succhiava e li faceva morire. Tante lacrime, tanto dolore dentro e fuori.”
Colta dalla disperazione e dalla fame, Natàlia pensa di ammazzare i figli, ma non sa come. Finchè le viene in mente di comprare dell'acido muriatico e versarlo nella loro gola appena si fossero addormentati.
“Non avevo nemmeno un centesimo per comprare l'acido muriatico”. E così al momento di pagare dice che si è dimenticata i soldi a casa ma il droghiere risponde che glieli potrà portare un altro giorno. Natàlia si avvia e poco dopo sente una voce che la chiama. È il droghiere che le dice di aver bisogno di un aiuto e le propone di fare le pulizie nel negozio.
“Mi disse che potevo cominciare l'indomani, la mattina alle nove. E io macchinalmente tirai fuori dalla sporta la bottiglia di acido muriatico, e la posai con precauzione sul bancone. E me ne andai senza dire niente. quando arrivai a casa, io che ero stata sempre resistente al pianto, scoppiai in lacrime come una povera qualsiasi.”
Il droghiere si dimostra molto gentile con lei, dandole spesso del cibo avanzato e delle scatolette per sfamare i bambini. Dopo circa una quindicina di mesi che lavora lì, il droghiere le chiede se vuole sposarlo.
“Io sono libero e lei è libera e io ho bisogno di compagnia e i suoi figli hanno bisogno di un sostegno...”
“Se non le va l'idea faccia conto che io non abbia parlato. Ma devo aggiungere che non posso crearmi una famiglia, perchè per colpa della guerra in mezzo sono inutile, e con lei mi trovo già una famiglia fatta. E non voglio ingannare nessuno, Natàlia”
Natàlia decide di cominciare questa nuova vita per lei e per i figli, che si conclude con un "urlo d'inferno" lanciato anni dopo nella piazza del diamante. "Un urlo che dovevo portarmi dentro da molti anni, e con quell'urlo, così ampio che aveva fatto fatica a passarmi per la gola”.
Gabriel Garcìa Màrquez sostiene che “La piazza del diamante è il romanzo più bello che sia stato mai pubblicato in Spagna dopo la guerra civile”. Io, sinceramente, non conosco molta letteratura spagnola quindi non posso fare confronti.
La scrittura è scorrevole ed  interessante. La Rodoreda abbina perfettamente la crescita della protagonista con la crescita anche nel suo linguaggio. Una donna che ama e sopporta un marito prepotente e dispotico, con assurde idee (tipo la colombaia in casa) e un egoismo totale (prende e parte per la guerra senza pensare che lascia a casa due figli piccoli).
Natàlia è una donna semplice, che fa fronte alle crescenti difficoltà come riesce. E quando sembra che debba arrivare a compiere un gesto estremo, è l'affetto di un uomo che le ha sempre voluto bene che la salva, che la porta ad una vita tranquilla e a lanciare finalmente un furioso urlo liberatorio. 
Unico neo in un personaggio che mi piaceva molto, la cattiveria che ha avuto nei confronti dei colombini. Per carità, provocata dall'esasperazione, ma sono righe che non avrei voluto leggere. 
Mio voto: 7

sabato 22 febbraio 2014

Zia Antonia sapeva di Menta - Andrea Vitali

 

Zia Antonia sapeva di menta, perchè aveva il vizio di mangiare chili e chili di caramelle e mentini. Ma quel giorno, alla casa di riposo, il nipote Ernesto nella camera della zia sente inequivocabilmente odore di aglio.
Suor Speranza, che guida la casa di riposo bellanese da un paio di anni, assicura che “aglio, cipolle, rape, ravanelli e porri sono verdure indigeste che non diamo mai agli ospiti della casa!”. Ma anche lei sente quell'odore di aglio e vuol arrivare in fondo alla faccenda, perchè a lei i misteri, grandi o piccoli, non piacciono.
Il giorno dopo la storia dell'aglio, zia Antonia comincia a fare le bizze e non voler mangiare, non prima di aver avuto il suo estratto conto che quel mese non ha ricevuto.
 
Comincia così una piccola commedia degli equivoci, che ruota attorno ai due nipoti della zia, Ernesto che si è sempre occupato di lei, e Antonio, bidello sposato con Augusta, "trentacinquenne ossigenata, figlia di salumiere e assatanata". Due fratelli che non si parlano da anni. E un incredibile conto corrente con 58 milioni di lire...
La vicenda verrà svelata con l'aiuto di Suor Speranza, il dottor Fastelli (medico della casa di riposo) e Suor Aspasia, miope e con cataratta ma con orecchio e naso fino.
Non vi racconto troppo perchè il libro è molto corto, si legge molto scorrevolmente e soprattutto non voglio rovinare il finale.
Una lettura molto carina, poco impegnativa anche se con un sottofondo "agro".
Mio voto: 7/10

Wings - Aprilynne Pike


Lauren è una ragazzina di 15 anni che si è appena trasferita a Crescent City. Eterea e minuta, con gli occhi verde chiaro e i capelli biondi, magra e aggraziata come una ballerina pur non avendo mai ballato. Mangia solo frutta e verdura. E' stata abbandonata in una cesta quando aveva tre anni davanti a casa delle due persone che sono poi diventate i suoi genitori.
Il primo ragazzo con cui fa amicizia si chiama David Lawson, “Mister Sorriso”, carnagione olivastra, occhi azzurri, capelli castani un po' lunghi e mossi. David a poco a poco la fa uscire dalla sua timidezza e diventano inseparabili compagni di studio e buoni amici.
Finchè un giorno, succede una cosa strana: Lauren si tocca la schiena e scopre un piccolo grumo tra le scapole, che col passare dei giorni sembra somigliare ad un fiore. L’unica persona a cui osa confessare questo segreto è David, che ha un debole per lei e che, grazie alla propria passione per le scienze naturali, l’aiuterà a capire cosa sta succedendo.
Intanto, le spese per l'apertura del nuovo negozio stanno portando i genitori di Lauren ad aver problemi di soldi. In particolare, un certo signor Barnes, un tipo molto strano, sembra molto interessato alla proprietà in cui abitavano prima. Così, dopo 4 mesi dal trasferimento, Lauren e i genitori fanno un salto alla vecchia casa ad Orick. Lauren prende la chitarra e si inoltra nel bosco come ha sempre fatto. Ma quel giorno nel bosco incontra Tamani: zigomi alti, pelle liscia ed abbronzata, chioma lunga con l'attaccatura dei capelli color verde, lo stesso verde degli occhi. Tamani esercita su di lei un fascino irresistibile e le rivela una verità sconvolgente: lei in realtà è una fata e quelli che ha sulla schiena sono petali.
Lauren è una fata d'autunno ed è stata mandata sulla terra è proteggere quel terreno perchè lì esiste un cancello per accedere ad Avalon.
Il padre di Lauren nel frattempo si ammala, e sono costretti a portarlo in ospedale dove arriva quasi in fin di vita. Barnes ne approfitta per far firmare i documenti di cessione della casa, nonostante Lauren abbia chiesto alla madre di non farlo, ma i problemi economici non danno altra scelta. 
David e Lauren trovano il biglietto da visita di Barnes e decidono di andare a vedere dove sia il suo ufficio, che si presenta come una vecchia casa abbastanza spettrale. Vengono scoperti e i due scagnozzi di Barnes li riescono a prendere e provano ad affogarli. Ma i ragazzi si salvano e vanno a raccontare tutto a Tamani il quale ipotizza che Barnes sia un troll, creature malvage che vogliono impossessarsi del cancello per il reame e che la malattia del padre di Lauren è probabilmente stata causata da loro.
Tamani si reca nella tana dei troll, fa facilmente fuori i due scagnozzi di Barnes, ma Barnes è troppo astuto e dopo una lotta concitata gli spara alle gambe. David e Lauren portano di fretta Tamani ad Orick, dove un anziano dai capelli lunghi offre a Lauren un elisir portentoso ed un diamante da offrire alla madre per far intestare la tenuta alla ragazza anziché venderla. Lauren guarisce il padre con l'elisir e diventa intestataria della tenuta. Riincontra Tamani il quale le confessa che loro nella vita precedente erano innamorati. Ma lei non ricorda nulla, sente solo di essere legata a lui

Una nuova saga, dove i protagonisti non sono zombie o vampiri, bensì fate. Fate che in realtà sono fiori e che hanno petali al posto delle ali. Mi ha lasciato un po' perplessa il fatto che il libro viene intitolato "wings" (ali) mentre per tutto lo svolgimento ripete che non si tratta di ali bensì di petali, anche se sono effettivamente collocati dove ci si aspetta di trovare delle ali...
E' un romanzo per ragazzine, senza tante pretese, con una protagonista eterea e perfetta ed un triangolo amoroso tra lei, l'amico e lo sconosciuto (che immagino verrà approfondito nei romanzi successivi).
Sembra effettivamente di leggere una favola. Carino. Non ne sono rimasta particolarmente entusiasta, però se riuscirò vorrei leggere anche il seguito, per vedere come prosegue la storia...
Mio voto: 6 e mezzo.

Qualche foglia verde - Barbara Pym

 

Emma Howick è venuta ad abitare da poco nel paese. E' un'antropologa e deve il suo nome all'eroina di "Cime tempestose", che la madre ha scelto nella speranza "che si perpetuassero nella figlia alcune delle qualità possedute dall'eroina dell'omonimo romanzo".
E' la domenica in albis, ovvero la domenica dopo Pasqua, quando Emma decide di partecipare alla passeggiata dei residenti nel parco e nei boschi intorno al palazzo, uscendo dall'isolamento in cui si è chiusa.
A poco a poco conosce, ed osserva gli abitanti del paese, nella speranza di farci una pubblicazione. 
Una sera vede un suo ex, Graham Pettifer, in televisione, in una intervista, e di slancio gli scrive una lettera di congratulazioni. Dopo qualche tempo anche lui arriva al paese, dove affitta un vecchio cottage nel bosco per scrivere il suo ultimo libro. E dove consuma con Emma una "avventura" in ricordo dei vecchi tempi, anche se a casa c'è la moglie Claudia che ignora ogni cosa (o le fa comodo saperlo fuori dai piedi mentre ristrutturano l'appartamento?) e anzi è anche contenta che Emma lo tenga d'occhio.
Tom il parroco è vedovo e abita con la sorella nella enorme canonica dalla quale la famiglia del giovane medico vorrebbe "sfrattarlo" per andarci a vivere. La sorella Daphne sogna di andare a vivere in Grecia. Ad entrambi sta un po' stretta la convivenza ma nessuno ne parla. Finchè un giorno Daphne decide di andare a vivere con la dispotica amica Heather, a Birmingham.
Intanto la signorina Vereker, che fu la governante delle ragazze che vivevano nel palazzo, decide di vedere il villaggio prima di morire e là si dirige senza dire niente al nipote e alla moglie. Solo che quando arriva al bosco si rende conto che ha camminato troppo ed è stanca, e la trovano, mentre passeggiano, Emma ed Avice (la moglie del dottore giovane).
Intanto la madre di Emma, Beatrix, si chiede se "dopo il fallimento di Graham (era poi davvero valsa la pena di tentare?), non doveva fare qualcosa per avvicinare Emma e Tom, per quanto improbabile apparisse tale unione?"
 
Ho trovato questo libro in biblioteca, cercando titoli con colori differenti (per la "colorful reading challenge).
Barbara Pym viene assimilata (sulla terza di copertina) a Jane Austen per il suo modo di scrivere. (Per inciso, è la seconda autrice in cui mi imbatto quest'anno che viene presentata in questo modo... )
Ora, non è che basti scrivere un romanzo ambientato in un ambiente rurale, con una impenitente single trascurata ma con un gran buon carattere e ovviamente sfortunata in amore per essere Jane Austen... altrimenti lo sarei anche io!
Sinceramente il primo aggettivo che mi è venuto in mente chiudendo il libro è stato "noioso". La storia poteva anche essere interessante, con questa antropologa che finisce in questo paesino sperduto a caccia di idee per una ricerca. Ma sembra, anzi, senza sembra, è lei la prima ad avere problemi su cosa vuole dalla vita e dalla sua stessa ricerca.
Nel paese non ho trovato nessun personaggio particolarmente incisivo per la storia. C'è il prete, vedovo, in una parrocchia senza molti fedeli, che ha una passione per lo studio delle tombe e delle sepolture in abiti di lana o meno. E' accudito da una sorella che ha il sogno di andare a vivere in Grecia con l'amica. Entrambi vorrebbero tagliare il cordone ombelicale ma nessuno dei due si parla. Poi ci sono due medici, quello più vecchio che cura i bambini e i giovani perchè odia curare i vecchi, mentre al medico giovane che per fortuna ha studiato geriatria tocca curare i vecchi. Poi va beh, un'altra serie di personaggi che mi hanno lasciato poco.
Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più e invece niente. Tanti spunti di riflessione, a partire dalla solitudine del prete ma non solo. Viene poi creata un'enorme aspettativa nei confronti del "palazzo", un tempo abitato dalla famiglia più importante del paese, le cui figlie erano accudite dalla governante, la signorina Vereker, il cui nome ricorre spesso nello svolgimento del romanzo, ma assolutamente non porta a nessuna rivelazione eclatante. 
Mah.
Mio voto: 5 / 10

Coral Glynn - Peter Cameron


Primavera 1950. Coral Glynn, che al mondo non ha nessuno, lavora a villa Hart, come infermiera della padrona di casa, malata terminale di cancro. In casa abita anche il figlio di Mrs Hart, il maggiore Clement, ferito alle gambe durante la guerra e profondamente segnato dal dolore soprattutto psicologico che queste gli hanno provocato. 
Alla morte della padrona di casa, Clement, con un tempismo un po' bizzarro, chiede a Coral di sposarlo. E Coral accetta. Ma subito dopo le loro vite prenderanno strade differenti, per l'accusa di omicidio di una bambina trovata cadavere nella Foresta in cui Coral va spesso a passeggiare, per (più o meno) rincontrarsi nel finale a sorpresa.
 
Dunque... mi è piaciuta molto la scrittura di Peter Cameron, e mi è piaciuta molto l'atmosfera che crea. Ma la trama del romanzo fa acqua da tutte le parti. Mi sembra che tratti una marea di argomenti, senza approfondirne nessuno. E questa potrebbe anche essere una scelta narrativa. Ma alla fine, pur avendolo letto anche molto scorrevolmente, la prima cosa che mi è venuta in mente chiudendolo è stata: "quindi? che mi voleva dire?".
I personaggi sono uno peggio dell'altro. Coral si sente che è una persona sola, e si scopre che ha dovuto subire la violenza del precedente datore di lavoro. Ma continua a subire passivamente gli avvenimenti che succedono intorno a lei. Clement sembra che sia davvero un po' attratto da Coral, ma poi quando lei viene accusata di omicidio lui non fa nulla per difenderla, anzi la allontana, e non si chiede il perchè lei non le scriva, non si chiede se lei ha saputo che è stato trovato il vero colpevole. Poi ci sono i due amici di Clement, Robin e Dorothy. Robin è gay, sposato con Dorothy ma ancora totalmente innamorato di Clement, al punto che si arroga il diritto di nascondergli le lettere di Coral con la scusa di proteggerlo. E Dorothy, che sa tutto, che ha sempre sopportato il fatto che il marito ama un altro uomo e che è l'unica che si accorge che Coral è sola e le offre una spalla.
Poi tralasciamo il finale. La parte quarta si chiude in un certo modo (che non vi svelo..) e la quinta si riapre con un salto di anni, per cui veniamo catapultati in una storia che sembra non aver nulla a che vedere con ciò che è successo prima.
Mi dispiace, ma questo libro non mi ha proprio convinto. Credo che leggerò altro di Cameron, ma a questo libro non riesco a dare la sufficienza.
Mio voto: 5 e mezzo.