“Non c'è posto al
mondo che io ami più della cucina”.
Ecco un altro di quei
libri di cui ho sentito parlare un sacco e che appena l'ho chiuso mi
sono detta... “mah”.
Intanto è diviso in tre
“capitoli”, diciamo così. I primi due legati tra loro, il terzo
che non c'entra niente. Infatti mi sono chiesta “perchè??”
Filo conduttore di tutti
i racconti è il dolore per la perdita di qualcuno di caro, il senso
di vuoto che rimane dentro e congela la vita. Almeno finchè qualcuno
ci aiuta a venir fuori da questo intorpidimento.
Mikage, orfana dei
genitori, perde anche l'unica parente ancora in vita, la nonna.
Yuichi le propone di andare a vivere con lui e con sua madre Eriko,
che in realtà è il padre che ha cambiato sesso per occuparsi del
figlio dopo la morte della moglie. Una famiglia un po' fuori dalla
norma, nella quale Mikage si trova pienamente accolta e riesce a
lenire un po' il dolore di essere da sola. Poi muore Eriko,
assassinata da un fanatico, e allora, oltre al suo personale dolore,
è Mikage che aiuta Yuichi a non scappare dal dolore ma affrontarlo
insieme a lei.
Nella terza storia i
personaggi sono altri. Satsuki perde il fidanzato Hitoshi che muore
in un incidente. E ancora è il dolore che la fa da padrone, il
dolore che non ci fa andare avanti per quanto fa male. La terza
storia mi lascia un po' perplessa in effetti, anche per questa
atmosfera “mezza magica”.
Non so, lo trovo carino,
molto veloce da leggere, con personaggi ben caratterizzati. Ma non mi
ha lasciato molto come emozione. Anche se una frase mi è piaciuta
molto, e la credo molto vera: “a piegarci non sono le circostanze o
una forza esterna, la sconfitta ci colpisce dall'interno”.
Mio voto: 6 e mezzo /10
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