Titolo originale: Fiore di roccia (2020)
Con Fiore di roccia Ilaria Tuti celebra il coraggio e la resilienza delle donne, la capacità di abnegazione di contadine umili ma forti nel desiderio di pace e pronte a sacrificarsi per aiutare i militari al fronte durante la Prima guerra mondiale. La Storia si è dimenticata delle Portatrici per molto tempo. Questo romanzo le restituisce per ciò che erano e sono: indimenticabili.
«Quelli che riecheggiano lassù, fra le cime, non sono tuoni. Il fragore delle bombe austriache scuote anche chi è rimasto nei villaggi, mille metri più in basso. Restiamo soltanto noi donne, ed è a noi che il comando militare italiano chiede aiuto: alle nostre schiene, alle nostre gambe, alla nostra conoscenza di quelle vette e dei segreti per risalirle. Dobbiamo andare, altrimenti quei poveri ragazzi moriranno anche di fame. Questa guerra mi ha tolto tutto, lasciandomi solo la paura. Mi ha tolto il tempo di prendermi cura di mio padre malato, il tempo di leggere i libri che riempiono la mia casa. Mi ha tolto il futuro, soffocandomi in un presente di povertà e terrore. Ma lassù hanno bisogno di me, di noi, e noi rispondiamo alla chiamata. Alcune sono ancora bambine, altre già anziane, ma insieme, ogni mattina, corriamo ai magazzini militari a valle. Riempiamo le nostre gerle fino a farle traboccare di viveri, medicinali, munizioni, e ci avviamo lungo gli antichi sentieri della fienagione. Risaliamo per ore, nella neve che arriva fino alle ginocchia, per raggiungere il fronte. Il nemico, con i suoi cecchini – diavoli bianchi, li chiamano – ci tiene sotto tiro. Ma noi cantiamo e preghiamo, mentre ci arrampichiamo con gli scarpetz ai piedi. Ci aggrappiamo agli speroni con tutte le nostre forze, proprio come fanno le stelle alpine, i «fiori di roccia». Ho visto il coraggio di un capitano costretto a prendere le decisioni più difficili. Ho conosciuto l’eroismo di un medico che, senza sosta, fa quel che può per salvare vite. I soldati ci hanno dato un nome, come se fossimo un vero corpo militare: siamo Portatrici, ma ciò che trasportiamo non è soltanto vita. Dall’inferno del fronte alpino noi scendiamo con le gerle svuotate e le mani strette alle barelle che ospitano i feriti da curare, o i morti che noi stesse dovremo seppellire. Ma oggi ho incontrato il nemico. Per la prima volta, ho visto la guerra attraverso gli occhi di un diavolo bianco. E ora so che niente può più essere come prima.»
Ci sono libri che vanno lasciati decantare un attimo perchè ti scatenano dentro delle emozioni così forti che fai fatica ad esprimerle. A questo proposito, ieri sera, pur avendo finito questo libro e pur non avendo altro da fare, ho comunque appositamente evitato di iniziare un nuovo libro.
Questo libro è incredibilmente emozionante. Commovente.
Ho fatto un po' fatica all'inizio con la scrittura, perchè in alcune descrizioni l'autrice è abbastanza "pomposa" con termini ormai desueti. Quando invece entra più nel dettaglio della situazione, la scrittura è scorrevole.
La vicenda narrata è terribile ed è sintetizzabile in una frase che dice Agata:
"Se non rispondiamo noi donne a questo grido d'aiuto,
non lo farà nessun altro. Non c'è nessun altro".
Gli uomini sono mandati a combattere, da generali che se ne stanno al caldo in parlamento e da là danno ordini. Se non fosse per le donne, non avrebbero rifornimenti nè di armi nè di cibo.
Uomini che si trovano a combattere altri uomini perchè gli è stato ordinato, e che vengono considerati disertori, e giustiziati, se oltrepassano le linee nemiche per condividere una bottiglia di grappa.
Sono uomini che hanno il massimo rispetto per questo gruppo di donne che tutti i giorni si caricano come dei muli per portare loro gli aiuti necessari, accantonando le faccende personali che poi svolgeranno al rientro da questa missione. Le considerano soldati come loro. Eppure la storia non ha mai tenuto conto del ruolo fondamentale che esse hanno avuto.
Uomini ben diversi dal benestante Francesco, che grazie ai suoi privilegi non è stato chiamato in guerra, e che tormenta Agata che a lui non è interessata, fino a cadere veramente in basso e costringerla all'esilio. Un esilio che si concluderà solo nel 1976 quando, dopo il terremoto, Agata sente di dover tornare alla sua terra natia e lì vede che italiani e austriaci collaborano per ricostruire il paese.
Nonostante la bruttura della guerra, affiorano forti sentimenti. Agata sostiene che il capitano sia per lei un amico; a mio parere il loro sentimento è qualcosa di più grande e credo che se entrambi fossero sopravvissuti si sarebbero sposati (ammetto di averci sperato..)
Costante è la similitudine tra le persone e la natura: le donne e i fiori; gli alpini e gli stambecchi,...
Mi è dispiaciuta la rottura di amicizia con Viola; prima è Viola che si allontana da Agata dopo la morte del "suo" artigliere; poi è Agata che non si lascia avvicinare dopo la morte del padre.
Ho tante immagini che questo libro mi ha lasciato.
I libri del padre che sono ordinati per colore perchè essendo analfabeta è l'unico modo per riconoscerli.
Le donne che si propongono addirittura di lavare i panni sporchi dei soldati.
Il vecchio padre che va a recuperare le spoglie del figlio sotterrato.
Il bisogno di cercare Dio (costruendo la cappella al fronte) e il bisogno di sapere dove si trova perchè non è possibile che sia lì in guerra.
Il dubbio e il desiderio di sapere se ci sarà un futuro.
Lucia che, pur in fin di vita, fa di tutto per aiutare Agata e il soldato austriaco.
"E' questo che siete. Fiori aggrappati con tenacia a questa montagna. Aggrappati al bisogno, sospetto, di tenerci in vita" (Capitano Colman)
"Chi può far questo a un uomo?" domando con un filo di voce. Gli occhi del dottore scattano sul mio viso, pieni di compassione. "Chi? Un altro uomo"
"Le donne non hanno mai fatto parte di eserciti, perchè gli uomini non sono pronti a vederle morire" (capitano Colman)
"Ho scelto di essere libera". Libera da questa guerra, che altri hanno deciso per noi. Libera dalla gabbia di un confine, che non ho tracciato io. Libera da un odio che non mi appartiene e dalla palude del sospetto. Quando tutto attorno a me era morte, io ho scelto la speranza (Agata)
Bellissimo. Non riesco a proseguire senza commuovermi di nuovo. Ho pianto tutte le ultime trenta pagine e in più ho versato qualche lacrima fin da quasi subito.
Il libro è tratto da ciò che è realmente accaduto durante la prima guerra mondiale, anche se la vicenda si è svolta in un paio di anni mentre nella narrazione è concentrata in pochi mesi. I personaggi sono inventati. La storia di Agata è inventata. Il cecchino esisteva davvero e ad un certo punto è sparito, ma non si sa se sia saltato in aria per una granata o se davvero qualcuno possa averlo aiutato. Per la figura del capitano Colman l'autrice ha preso spunto da due capitani effettivamente esistiti.
Libro consigliatissimo.
Mio voto: 9 / 10
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