Titolo originale: L'invenzione della madre - 2015
Questa è una storia d’amore. Si tratta dell’amore più antico e più forte, forse il più puro che esista in natura: quello che unisce una madre e un figlio. Lei è malata, ha poco tempo, e lui, Mattia – sapendo che non potrà salvarla, eppure ostinandosi contro tutto e tutti – dà il via a un’avventura privatissima e universale: non sprecare nemmeno un istante. Ma in una situazione simile non è facile superare gli ostacoli della quotidianità. La provincia in cui Mattia abita, il lavoro in videoteca che manda avanti senza troppa convinzione, il rapporto con la fidanzata e con il padre: ogni aspetto della sua vita per nulla eccezionale è ridisegnato dal tempo immobile della malattia. Un rifugio sicuro sembrano essere i ricordi: provare a riavvolgere come in un film la memoria di ciò che è stato diventa un esercizio che gli permette di sopportare il presente. Ma è davvero possibile sfuggire a se stessi?
In questo viaggio dove tutto è scandalosamente fuori posto, è sempre il rapporto con la madre a far immergere Mattia nella dimensione più segreta e preziosa in cui sente di essere mai stato. Raccontando di questo everyman, grazie al coraggio della grande letteratura, Marco Peano ridà senso all’aspetto più inaccettabile dell’esperienza umana: imparare a dire addio a ciò che amiamo. (http://www.minimumfax.com/)
Sono molto in difficoltà a fare la recensione di questo libro, perchè ho letto una valanga di commenti positivi, mentre a me, se devo essere sincera, non è piaciuto. E' un libro che ho chiuso veramente dicendo "evviva è finito" (anche se forse verso il finale migliora un po'). Il problema non è l'argomento trattato, è proprio lo stile di scrittura. Non è che tutti i libri sul cancro debbano essere pesantissimi o strappalacrime, ma qui sembra di ascoltare qualcuno che ti racconta un film con distacco, dove tutti i personaggi non hanno nome (a parte il figlio, ma anche lui viene spesso chiamato solo "il figlio"). E i nomi potrebbero anche non essere importanti, se non fosse che troppe volte l'autore rimarca il fatto che la madre aveva un nome talmente strano che spesso mettevano una o dove doveva andare una a. Cazzarola, ho passato il libro a chiedermi che nome avesse e "l'arcano" rimane irrisolto.
Non mi è piaciuto lo stile freddo della scrittura, distaccato, non mi è arrivata alcuna emozione provata dal ragazzo. Ammetto di essermi commossa in un paio di punti, ma poche righe e poi è tornato il freddo.
L'autore fa un gran uso di parentesi, troppe, e molte di esse sono quasi troppo "da maestrino"; alcune sarebbero state carine, ma ad un certo punto erano così frequenti che non le sopportavo più. In alcuni momenti ho avuto l'impressione che alcune espressioni utilizzate fossero un po' troppo ricercate ("la barella che trasportava il corpo amato".. l'espressione "corpo amato" fa abbastanza romanzo d'epoca). Ci sono poi un paio di frasi che non mi sono piaciute. La prima, proprio nella prima pagina, quando parla dei barellieri: "volontari - forse segnati da un lutto personale - che regalano il proprio tempo ai bisognosi"... sarà che faccio la barelliera e non certo perchè mi ha spinto un lutto personale per cui ho trovato questo riferimento un po' inutile, fuori luogo. La seconda frase, invece, secondo me è raccapricciante: "perchè la malattia è come una gravidanza: non esiste un caso paragonabile a un altro, non c'è parto - un cancro - uguale a un altro". Credo sia un paragone veramente fuori luogo e orribile. Alcuni commenti lasciano un po' il tempo che trovano, tipo l'accostamento mamma-Mattia-morte. Mah. Oltretutto, secondo quanto so io, ha proprio detto una stupidaggine sul fatto che la lettera più facile da pronunciare sia la m... che sappia io, non è vero. Per non parlare che credo che ad un certo punto il personaggio abbia proprio degli atteggiamenti che rasentano il patologico (spogliarsi nudo e infilarsi nel letto della madre?? cioè, io capisco il bisogno di cercare un'intimità con la mamma morente, ma il perchè dello spogliarsi nudo?? o il voler raccogliere il suo fiato dentro a dei palloncini???)
Ci sono anche momenti teneri, come quando dopo averla sistemata Mattia bacia la madre "restituendole in parte i baci che lei gli ha dato da piccolo". Questa è una immagine molto tenera. E ho trovato molto tenero anche il momento in cui Mattia vede il padre nella depandance ("di là") e capisce che anche lui sta soffrendo, in silenzio, ma sta soffrendo.
Mi dispiace. Sono convinta che Mattia (che in qualche modo dovrebbe rispecchiare l'autore del libro) stia davvero soffrendo, ma delle emozioni che prova non arriva quasi nulla. Ad un certo punto è chiaro che la malattia della madre è anche un po' una scusa per non vivere, per non crescere, lasciando che ciò che gli sta intorno scelga per lui (la morte, la fidanzata, ecc.).
Non so se leggere il libro in un altro momento avrebbe cambiato il mio giudizio. Però l'ho letto ora, e mia madre non è morta di cancro a cinquant'anni, per cui non posso cambiare le cose. Sinceramente non mi è piaciuto. Ripeto, non l'argomento, ma proprio come è stato trattato. Arrivo a sei perchè mi concedo il beneficio del dubbio di non essere nello stato giusto per capirlo.
Mio voto: 6 / 10.