La storia di un uomo – prima contadino, poi operaio, infine gestore di un bar-drogheria in una città della provincia normanna – raccontata con precisione chirurgica, senza compatimenti né miserabilismi, dalla figlia scrittrice. La storia di una donna che si affranca con dolorosa tenerezza dalle proprie origini e scrive dei suoi genitori alla ricerca di un ormai impossibile linguaggio comune. Una scrittura tesissima, priva di cedimenti, di una raffinata semplicità capace di rendere ogni singola parola affilata come un coltello. Il posto è un romanzo autobiografico che riesce, quasi miracolosamente, nell’intento più ambizioso e nobile della letteratura: quello di far assurgere l’esperienza individuale a una dimensione universale, che parla a tutti noi di tutti noi. (www.anobii.com)
Ho letto questo libro per il gruppo di lettura. All'interno del gruppo ha avuto moltissimi commenti positivi. Potrei modificare la mia esperienza di lettura dopo l'incontro, ma non mi sembra giusto. La storia in sè poteva anche essere interessante. Un padre inserito in un contesto sociale di non cultura, dove l'apparenza nei confronti degli altri ha un ruolo primario.
A me questo libro ha detto poco. Quando l'ho chiuso mi sono proprio detta che mi aveva lasciato "il nulla". Non mi piace questo linguaggio asciutto, asettico. O forse, dire che non mi ha lasciato nulla non è proprio vero, mi ha lasciato una certa rabbia. Non riesco a capire come possa una figlia parlare del padre in questo modo, con questo distacco. Nemmeno un giornalista, scrivendo di uno sconosciuto, avrebbe una tale freddezza.
"Naturalmente, nessuna gioia di scrivere, in questa impresa in cui mi attengo più che posso a parole e frasi sentite davvero, talvolta sottolineandole con dei corsivi. Non per indicare al lettore un doppio senso e offrirgli così il piacere di una complicità, che respingo invece in tutte le forme che può prendere, nostalgia, patetismo o derisione. Semplicemente perché queste parole e frasi dicono i limiti e il colore del mondo in cui visse mio padre, in cui anch’io ho vissuto. E non si usava mai una parola per un’altra."
"Nessuna poesia del ricordo, nessuna vincolante derisione. La scrittura piatta mi viene naturale"
Alcune frasi mi hanno proprio dato fastidio. "nessuna gioia di scrivere". Non te l'ha mica imposto nessuno.
"Volevo dire, scrivere riguardo a mio padre, alla sua vita, e a questa distanza che si è creata durante l'adolescenza tra lui e me. Una distanza di classe, ma particolare, che non ha nome. Come dell'amore separato.
In seguito ho cominciato un romanzo di cui era il personaggio principale. Sensazione di disgusto a metà della narrazione".
Sensazione di disgusto a scrivere di tuo padre? No, mi dispiace, proprio non ho apprezzato.
Non so, potrei averlo letto in un periodo sbagliato. Ma credo che in nessun momento mi sarebbero passate inosservate alcune espressioni. E comunque non apprezzo questo stile.
Mio voto: 6 / 10.
Nessun commento:
Posta un commento