domenica 17 marzo 2024

Le pianure - Federico Falco

Titolo originale: Los llanos (2020)

Dopo la brusca e inaspettata fine di una relazione, Federico abbandona Buenos Aires per trasferirsi in campagna: vuole ricominciare da zero, e vivere dei frutti di un orto improvvisato. La ricerca di un nuovo equilibrio passa per una riscoperta del mondo: lì le giornate iniziano e finiscono con il muoversi del sole, braccia e gambe dolgono dopo ore passate nei campi, il cibo varia con le stagioni e, come nella scrittura, quasi nulla dipende dalla volontà del narratore. Fare, ecco la soluzione, fare per non pensare, per non soffrire: rimboccarsi le maniche e affidare ogni speranza a semi e ortaggi, un paio di galline, i consigli di un allevatore sospettoso e di un collezionista di alberi. E così, a poco a poco, rinascere. Con il ritmo e l'intensità di un diario intimo, Le pianure racconta l'essenziale: il tempo che passa, la solitudine e la vita dopo l'amore. Mescolando stralci di storia personale con ricordi di famiglia – le colline piemontesi abbandonate per fuggire dalla guerra, una nuova vita nell'immensa pianura argentina –, letture illuminanti (da Virginia Woolf a Margaret Atwood e Anne Carson) con un minuzioso resoconto della vita di campagna, Falco ci regala un romanzo onesto e ambizioso in cui ognuno troverà un po' di sé, e nel quale semplicità e lentezza sono linfa vitale e pura letteratura. (goodreads)

Avevo avuto feedback entusiasti per questo libro, addirittura ho la copia autografata. Invece ammetto che la lettura è stata faticosissima, per ben due volte ho pensato di interromperlo. Non mi piace la scrittura ad elenco. La sopporto per un po’ poi comincio a saltare al paragrafo successivo. 
Nella quarta di copertina viene scritto “Mescolando stralci di storia con ricordi di famiglia, letture illuminanti con un minuzioso resoconto della vita di campagna, Federico Falco ci regala un romanzo onesto e ambizioso in cui ognuno troverà un po’ di sè”. Questo è vero. 
La parte della campagna mi ha annoiato un bel po’. Le parti in cui parla dei nonni mi sono piaciute. Così come mi sono piaciute alcune riflessioni sullo scrivere. Alcuni dei suoi tormenti li ho sentiti molto miei (paura del rifiuto, di non riuscire a fare le cose, la lettura come vita immaginaria). 
Mi aspettavo il finale, con la pazienza e la fatica di iniziare una nuova vita, i risultati poi si vedono. Chiarissima è la similitudine con l’orto. Il libro parte in estate (gennaio, e già bisogna ricordarsi che siamo in Argentina, quindi le stagioni sono ribaltate rispetto alle nostre), dove il caldo torrido uccide le piante e anche per le persone è faticosissimo fare qualsiasi cosa. Federico è appena uscito dalla storia con Ciro ed è devastato perchè gli manca da morire. Quindi la sua aridità interiore riprende un po' quella dell'orto dove non riesce a crescere praticamente nulla o quasi. Poi i mesi procedono, l'orto un po' alla volta comincia a dare frutti e anche lui comincia a rielaborare la storia con Ciro e la sua stessa storia, anche utilizzando elementi di ricordo di quando era piccolo. Quando arriva la primavera, con la fioritura dell'orto anche lui si rende conto che la sua vita sta riprendendo, e che il taccuino su cui annotava minuziosamente i progressi dell'orto e i suoi ricordi è diventato quel libro che non pensava di poter scrivere.
Non mi è dispiaciuta la storia in sè, è il modo di scrivere che ho trovato molto fastidioso. Poi forse mi ha toccata su dei punti che non volevo fossero toccati adesso. 
Mio voto: 6 / 10

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