domenica 26 aprile 2020

L'iguana - Anna Maria Ortese


Titolo originale: L'iguana - 1965

«A tutti i lettori che desiderano qualcosa di inaudito, che li porti di colpo oltre i confini della realtà; a tutti i lettori appassionati, annoiati, sazi, entusiasti, drammatici, frivoli, passeggeri, costanti – consiglio questo bellissimo libro, uno dei pochi destinati a onorare la letteratura italiana del dopoguerra. È stato pubblicato venti anni fa; ma sembra che nessuno l’abbia mai comprato, nessuno l’abbia mai letto. È come la principessa della fiaba, la cui bellezza si nasconde dietro gli stracci e la cenere. Soltanto alcuni happy few hanno alzato il velo grigio, hanno scosso con la mano la cenere, e sostengono che è un capolavoro» (Pietro Citati). Quando il giovane milanese Aleardo, di famiglia ricca, nobile e illuminata, decide di approdare con il suo yacht nella sperduta isola di Ocaña, al largo del Portogallo, non sa quale inusitata avventura, e quale incontro fatale, lo attendano. Fino a quel momento, egli è «il compratore di isole», sempre incerto su quale comprare, perché Aleardo è sì facoltoso, ma anche rispettoso della generale dignità del creato e non vorrebbe turbarlo con indiscrete iniziative. Come giocando, un suo amico editore lo aveva sfidato a fornirgli un manoscritto capace di risvegliare i lettori intorpiditi per eccesso di offerte: e precisamente «le confessioni di un qualche pazzo, magari innamorato di una iguana». Appunto l’iguana attende Aleardo nell’isola di Ocaña, sotto forma di una «bestiola verdissima e alta quanto un bambino, dall’apparente aspetto di una lucertola gigante, ma vestita da donna, con una sottanina scura, un corsetto bianco, palesemente lacero e antico, e un grembialetto fatto di vari colori». Quell’iguana, come la prima materia dei testi alchemici, è ciò che di più vecchio e insieme ciò che di più giovane si possa trovare nella sostanza del mondo, è la natura stessa nel suo perenne invito alla «fraternità con l’orrore». Intorno a questa principessa-servetta e al suo principe illuministico e bisognoso di iniziazione la Ortese ha intessuto una perfetta favola romantica, genere fra i più ardui, che già aveva tentato vari grandi scrittori di lingua tedesca, da Novalis a Hofmannsthal, mentre in Italia non sembra aver attirato nessuno, forse anche per la profonda estraneità della nostra letteratura alla vena fosforeggiante del romantico. L’Iguana fu pubblicato per la prima volta nel 1965, incontrando una generale incomprensione. Oggi sappiamo che questo romanzo, nella sua impeccabile commistione di incanto e ironia, è destinato a rimanere un approdo felice per chiunque ami la letteratura. (https://www.adelphi.it/)

Don Carlo Ludovico Aleardo di Grees, dei Duchi di Estremadura-Aleardi, e conte di Milano, detto "Daddo", sui trent'anni, orfano di padre, ha una madre che smania affinchè lui ampli i possedimenti della famiglia. Ma lui da qualche tempo aveva "nel sangue un’allegria cristiana, che lo faceva indifferente, in fondo, a tutti gli averi, come se il senso delle cose fosse un altro." Conduceva una vita molto semplice, quasi da certosino, tutto il giorno in studio a disegnare case, mentre, la sera, sua unica distrazione era vedersi con Boro Adelchi, un giovane editore della nouvelle vague, ambiziosissimo e a cui il Daddo passava continuamente, di nascosto della madre, fior di denari. E fu proprio l’Adelchi, una di quelle sere di aprile, che getta il seme dell’avventura che viene narrata.
L'Adelchi, si lamenta che le cose vanno male in editoria e dice che ci vorrebbe qualcosa di straordinario. Il Daddo, che deve mettersi in viaggio per conto della madre, pensa che al di là di Gibilterra ci potrebbe esse qualcosa di utile.
Al largo del Portogallo, trova questa piccola isoletta, al punto che non è nemmeno segnata sulle carte.
Gli unici abitanti del luogo sono don Ilario Jimenez dei Marchesi di Segovia, conte di Guzman, e i fratelli, Hipolito e Felipe Avaredo-Guzman, figli di una prima moglie asturiana del defunto marchese. A servizio di questi personaggi c'è una figura che dapprima il Daddo scambia per una vecchia, finchè invece si rende conto che si tratta di "una bestiola verdissima e alta quanto un bambino, dall’apparente aspetto di una lucertola gigante, ma vestita da donna, con una sottanina scura, un corsetto bianco, palesemente lacero e antico, e un grembialetto fatto di vari colori, giacché era la somma evidente di tutti i cenci della famiglia."

Quando la bibliotecaria del mio gruppo di lettura, visto il perdurare del divieto di riunione, mi ha suggerito di provare a parlare di un audiolibro, tra quelli disponibili gratuitamente sul sito rai, le ho suggerito questo. La mia scelta è stata dettata da due semplici fattori. Il primo: che il libro fosse "corto", non oltre le duecento pagine, perchè non era detto che a tutti andasse a genio questo esperimento. Il secondo: che non si trattasse di un libro di quelli già noti e rinoti. Ho letto poche recensioni e ne parlavano come di un gioiellino non capito all'epoca della sua pubblicazione. Abbiamo provato. A mio parere, è molto più facile seguirlo come audiolibro piuttosto che leggerlo, soprattutto perchè nell'edizione gratuita su ray play, la lettrice Monica Demuru è veramente molto espressiva e piacevole da ascoltare.
L'atmosfera del romanzo mi ha ricordato un po' un mix tra "cuore di tenebra", "cent'anni di solitudine" e "i promessi sposi" (quest'ultimo soprattutto per il linguaggio). 
Il linguaggio non è facile, è sicuramente datato, un po' manzoniano, però tutto sommato si segue abbastanza bene. 
Ho fatto un po' fatica a seguire i cambiamenti di personalità di Ilario/Mendes (anzi, sul Mendes proprio mi sono persa, perchè anche lui non spiega come mai fa questa associazione e non capisco se in pratica lo paragona a qualcuno di davvero esistito o meno). 
Dietro all'iguana ho pensato che si celasse una metafora, una persona che per caratteristiche di fragilità fisica o psicologica fosse facilmente soggiogabile.
Il Daddo è un ragazzo fuori dagli stereotipi del periodo storico in cui vive, dove tutti i milanesi sono a caccia di territori, sono interessati solo al denaro. Lui ha in sè un profondo spirito di carità cristiana, nel suo significato più alto del termine, non gli interessano i soldi, non gli interessa il potere, è affascinato dalle anime deboli e sente di dover fare di tutto per dar loro una mano. Il conte muore "cortesemente" come era vissuto. A Milano la sua morte passa quasi inosservata, un trafiletto sul giornale, anche la sua stessa madre e il suo amico Adelchi non ne sono particolarmente toccati. A Ocana invece, i due fratelli Guzman trovano lo stimolo di mettersi a studiare perchè pensano che il conte sia immortale e un giorno potranno scrivergli una lettera.
Un altro punto che ho capito poco è il processo. Il processo è un momento molto delirante, credo sia principalmente un processo a Dio o forse all'assenza di Dio che ha portato il male a vincere sulle creature deboli.

"Non vi è, infatti, orrore che, essendovi nati dentro, e avendone, per così dire, bevuto il latte, non si trasformi col tempo in abitudine e rassegnata indifferenza, cioè a dire in una sorta di degradata felicità, e tuttavia ancora felicità.- sappi, Lettore, che solo costui, che dapprima non era considerato il Male, e dopo fu indicato come il Male medesimo, solo costui sa cos’è il freddo mortale del Male. Si dice che l’Inferno sia calore, un calderone di pece, a probabilmente milioni di gradi sopra lo zero, ma in realtà il segno dell’Inferno è nel meno, invece che nel più, è in un freddo, Lettore, davvero assai orribile. Non solo vi è freddo, ma anche solitudine: nessuno ti parla più, e tu non riesci a parlare con alcuno. La tua bocca è murata. Questo è l’Inferno."

"Vi è qualcosa che ignoriamo, che non vogliamo sapere, vi è qualcuno, nascosto, che c’impedisce di guardare... Vi è un inganno a danno di persone deboli... Vi è, nella nostra educazione, qualche errore di base, che costa strazio a molti, e ciò io intendo colpire - «Capire! In base a che cosa, Daddo? Lascia che le Costellazioni trascinino il Corpo Santo! Dio è morto! è morto! è morto!». Queste parole, seguite da uno scoppio improvviso di pianto, e quindi da un selvaggio suonare di campane, non sapevi se a osanna o a morto, lasciarono indifferente il conte. Egli era mutato, in quanto sentiva che, nella vita, il lato terribile era proprio la compassione, in quanto così il male velava i suoi crimini, il bene lasciava luogo a profonda debolezza. Egli non aveva più altro scopo, nella nube ch’era stata la sua vita, se non il risorgimento di Dio, la sua liberazione dal sepolcro, e la restaurazione del Diritto."

"Sentì che il suo viaggiare era stato immobilità, e ora, nella immobilità, cominciava il vero viaggiare. Sentì poi che questi viaggi sono sogni, e le iguane ammonimenti. Che non ci sono iguane, ma solo travestimenti, ideati dall’uomo allo scopo di opprimere il suo simile e mantenuti da una terribile società. Questa società egli aveva espresso, ma ora ne usciva. Di ciò era contento." 

Sicuramente c'è anche una grossa critica di fondo alla società milanese da parte dell'autrice.
E' un libro sicuramente impegnativo e va letto o ascoltato con molta concentrazione. Però, alla fine, non mi è affatto dispiaciuto.
Mio voto: 7 / 10

Nessun commento:

Posta un commento