domenica 1 marzo 2020

Non dire notte - Amos Oz


Titolo originale: Don't Call It Night (1994)

A Tel Kedar, una tranquilla cittadina israeliana nel deserto del Negev, abitano Noa e Theo. Dopo sette anni di felice convivenza, sono in una fase stagnante del loro rapporto. Theo, urbanista sessantenne di successo, appare sempre più introverso e sembra aver perso energia, voglia di fare e di mettersi in gioco. Noa, frenetica professoressa di lettere di quindici anni più giovane che insegna nella scuola locale, è sempre alla ricerca di nuovi traguardi e nuove sfide. In seguito alla morte di uno degli studenti di Noa, le viene affidato il compito di dare vita a un centro di riabilitazione per giovani tossicodipendenti. Aiutata da Muki, agente immobiliare, da Linda, una timida divorziata, e da Lumir, un pensionato, Noa si dedica al progetto con entusiasmo e idealismo, pronta a lottare contro l’opposizione di tutta la cittadina che teme che un simile centro possa portare droga e criminalità. Non vuole mostrare le sue debolezze e chiedere l’aiuto di Theo, e lui non vuole interferire se non è richiesto… Se per un verso la vicenda sembra mettere a dura prova la loro relazione, dall’altro dimostra lo struggente affetto, l’infinita tenerezza e il profondo amore che ancora li lega. La storia è narrata dai due protagonisti in prima persona, alternandosi di capitolo in capitolo, raccontando gli stessi episodi visti da occhi diversi, contrapponendo con forza le due personalità, descrivendo non solo le loro vite, ma anche quella di vari abitanti di Tel Kedar, vecchi e nuovi immigrati, persone colpite da tragedie immani, ma anche personaggi buffi, russi pieni di vitalità, giovani studenti dalle belle speranze. Non dire notte non è esplicitamente un romanzo politico: è un libro che esplora l’animo umano, che racconta la realtà quotidiana di una comunità lontana da Tel Aviv o Gerusalemme, protetta da filo spinato e guardie, che cerca di vivere una vita normale come qualsiasi altra cittadina del mondo. (https://www.feltrinellieditore.it)

La descrizione che ne fa l'editore è effettivamente molto obiettiva, soprattutto rispetto a descrizioni di altri libri dove la trama dice una cosa e poi lo leggi e le cose non stanno esattamente così.
Nel libro si alternano le voci di Theo e di Noa, ognuno coi propri pensieri, coi propri dialoghi interiori. Ho fatto un po' fatica ad entrare in sintonia con questo tipo di lettura. Quello che balza subito all'occhio è la grande crisi in cui vivono questi due personaggi. Molto diversi l'uno dall'altra, per età e per temperamento.
Il personaggio di Theo mi ha ricordato un po' "Stoner", un personaggio placido,che vuole stare tranquillo, che vorrebbe aiutare ma che sa che il miglior aiuto che può dare a Noa è proprio non aiutarla, nonostante lui veda prima di lei i problemi della situazione in cui viene coinvolta. E nonostante tutto è quello che ci mette i soldi per rendere vivo il progetto.

"L'unica via per aiutarla è non cercare di aiutarla. Solo diventare piccoli. Congelarsi. Confondersi con il muro. Fermi. Davvero la finestra c'è ed è rimasta aperta? Davvero spero che voli fuori? Oppure sto in agguato, fermo, la fisso dal buio con gli occhi pietrificati, in attesa che crolli sfinita. Allora potrò piegarmi e prendermi cura di lei come all'inizio. Sin dall'inizio."

Il personaggio di Noa l'ho trovato terribilmente egoista, capriccioso; non vuole essere considerata una bambina ma si comporta come tale; non vuole essere aiutata ma sa di averne bisogno; quando vuole aiuto, non lo vuole chiedere; è un fuoco di paglia che si accende all'idea di questo nuovo progetto (che poi sarebbe uno studio di fattibilità e non la costruzione del vero e proprio centro) che si spegne quando il progetto comincia a diventare reale (forse perchè a quel punto l'ha aiutata Theo?).
Oz ha ricreato l'intero microcosmo di questo paesino nel deserto, ma i personaggi diventano così tanti che non riuscivo a star dietro a tutti.
Sinceramente, la mia esperienza di lettura è stata faticosa. Lunghe e prolisse descrizioni che mi hanno sfinito. Quello che mi rimane è la sofferenza di Theo e Noa, in una relazione dove lui è troppo padre per lei e lei è troppo presa dall'accusarlo di essere "patrimonio nazionale".
La sensazione che mi lascia, è di un paese in cui c'è l'idea di fare tante cose ma poi questo slancio si perde fino a non fare nulla.
Sinceramente non vedevo l'ora di finirlo... Probabilmente non è il mio genere di lettura...
Mi sono chiesta da dove venga fuori il titolo e l'unico appiglio che ho trovato è in uno dei racconti di Theo, quando parla del beduino che avevano soprannominato "notte", ma che non lo chiamavano mai così perchè il termine "notte" in arabo invece è una parola femminile. Ma non so se viene proprio da lì.
Ho visto una bella intervista all'autore sul canale della Feltrinelli. Mi piace come parla, mi piace anche come parla di questo libro. Credo però che tutto il sentimento che lui ci vede nella storia non sia riuscito a passarmelo attraverso la scrittura. In ogni caso, ho un altro libro di Oz che è nella mia lista di attesa, quindi prima o poi lo ri-incontrerò.
Mio voto: 6 / 10

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