Titolo originale: Jakbyś kamień jadła (2002)
Titolo inglese: Like Eating a Stone. Surviving the Past in Bosnia
In Come se mangiassi pietre, W. L. Tochman ci trasporta nel presente della ex Yugoslavia con un reportage dal grande valore letterario. Grazie al suo sguardo unico e al suo stile essenziale, sempre aderente alla vita, riesce a trasformare ciò che racconta in un universo narrativo da cui è impossibile staccarsi e rimanere estranei. Un gioco a incastro fatto di storie che sfumano una nell’altra e che ci riporta le testimonianze dei sopravvissuti, i ricordi e la forza delle donne che provano a superare l’orrore e le conseguenze di un conflitto devastante. (anobii.com)
Tochman è un giornalista, lo si sente dallo stile asciutto con cui scrive questo libro. Non è un romanzo, è la trasposizione su carta dei ricordi di alcune donne che ha conosciuto durante un suo reportage nella ex Jugoslavia, in particolare nella zona di Srebrenica e Sarajevo (e dintorni) in cui si è compiuto un vero e proprio genocidio di musulmani bosniaci ad opera dei serbi. Tochman incontra la dottoressa Eva Klonowski, antropologa forense che si occupa di dare un nome e un cognome alle ossa che vengono ritrovate in Bosnia, in modo che i familiari rimasti (principalmente donne) possano mettersi il cuore in pace e dare degna sepoltura alle spoglie.
"Ci sono tre domande che oggi in Bosnia non si fanno: Come sta tuo marito? Come sta tuo figlio? Che cosa facevi durante la guerra?"
"Per tre anni i serbi avevano tenuto Sarajevo sotto tiro. La città era rimasta senza acqua. Non c’era né luce né gas. I cecchini miravano con precisione infallibile alla fronte dei passanti, oppure dirigevano raffiche di fuoco contro intere code di persone in attesa del pane o dell’acqua. Oggi non è facile venire in città come se nulla fosse successo. Sedersi in un caffè tra le famiglie delle vittime. In mezzo a quelli che non si è mai smesso di odiare. Da cui si è fuggiti. Non è facile guardarsi negli occhi. Ordinare un caffè, accennare un sorriso. Discutere dei fatti accaduti."
Il libro è un grosso pugno allo stomaco. E tutto il dolore, la memoria, il coraggio è sulle spalle delle donne. Gli uomini in Serbia non vogliono farsi fotografare nè riprendere perchè temono di essere riconosciuti e denunciati al tribunale internazionale. Gli uomini serbi hanno il terrore di essere riconosciuti dalle donne musulmane. Sono gli stessi uomini che sedevano a scuola vicino a loro e che hanno torturato i loro mariti, i loro figli e loro stesse.
"A cosa è servita la guerra? Per cosa sono morti i nostri figli?"
Non serve fare domande, basta ascoltare quello che le donne sono disposte a raccontare, e anche il loro silenzio è carico di dolore.
Un libro terribile ma scritto molto bene. Concordo con chi sostiene che andrebbe fatto leggere nelle scuole.
Mio voto: 8 e mezzo / 10
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